L'INTERVISTA DELLA DOMENICA

Fabio Testi: «Ho girato il mondo da attore ma niente è come il Garda»

di Gian Paolo Laffranchi
«Non esiste un segreto per sedurre. L'importante è essere sinceri e non avere complessi. Ho pronto un film sugli imprenditori che si suicidano perché in balia delle banche»
Fabio Testi star del cinema davanti ai fotografi al Festival di Venezia
Fabio Testi star del cinema davanti ai fotografi al Festival di Venezia
Fabio Testi star del cinema davanti ai fotografi al Festival di Venezia
Fabio Testi star del cinema davanti ai fotografi al Festival di Venezia

Lo diceva il poeta: «O Benaco, che gonfi le tue onde e fremi come il mare». Lo ripete l’attore: «Su questo lago, su queste terre, è tutto diverso». Sulle orme di Virgilio, nel solco tracciato dagli antichi, si muove fiero e sorridente Fabio Testi. Che ha 81 anni, è forte di una lunga carriera d’attore e con la consapevolezza di sé maturata nel tempo ha scelto il Garda per la vita.

A Peschiera è nato e a Peschiera è tornato. ù

Catullo insegna. La gente, la cultura, l’habitat: ho girato il mondo, ma stare qui è bellissimo.

Si era stancato di Roma?

Ho sempre fatto la spola dal Garda alla Capitale, ma dopo tanti anni mi pesava. È finita l’epoca della Roma divertente, piacevole. Poi da giovani è anche facile vivere in una grande città. Arrivati ad un certo punto, si ritorna alle origini. A Peschiera sono nato e volevo tornare.

Ad Affi vive nel terreno che fu del suo bisnonno.

Sì. Era andato perso negli anni. Anche mio padre gli era affezionato, anche lui come me si era allontanato da queste zone ma gli era rimasto il sogno di tornare a stare qui. Quando ho saputo che si era ammalato di tumore, ho fatto in modo di ricomprargli questo terreno e lui mi ha ricompensato vivendo dieci anni di più.

La felicità, realizzare sogni, allunga la vita.

Sì, è un farmaco miracoloso.

Coltivare rose, lavorare la terra in campagna, nella sua azienda agricola, contribuisce alla sua serenità?

Sicuramente. Produco circa dieci quintali d’olio extra vergine d’oliva l’anno, ma non lo commercializzo: lo utilizzo per la famiglia e gli amici.

Dai kiwi è passato ai tartufi, diventandone un testimonial per l’area gardesana.

Mi sono dedicato alla coltura sperimentale del nero pregiato, che richiede tempo e fatica. E con un impianto fotovoltaico produco l’energia pulita per il fabbisogno della tenuta.

Alla Mostra del Cinema di Venezia, nel 2014, un documentario raccontò la Cinecittà che un tempo sorgeva sul lago: «Quando il Garda era un mare». Nell’arco di un decennio a Peschiera furono girati dieci lungometraggi e due produzioni tv che seguivano la moda dell’epoca, il genere «piratesco». Lei cominciò così, da pirata del lago anziché dei Caraibi, giusto?

È verissimo! Del resto avevo 14, 15 anni. Studente, d’estate, come tutti i ragazzi che volevano fare le comparse di quei film venivo assoldato. Ci prendevano insieme, a gruppi, queste produzioni che arrivavano da tutta Europa. Era sorto davvero uno stabilimento cinematografico, una Cinecittà sul lago, con le navi, i barconi. C’erano gli studios, i camerini, la moviola. Era diventato un centro importante. Noi giovani del luogo quando arrivava la stagione calda avevamo il lavoro assicurato. E il divertimento era doppio.

La sua prima volta da seduttore fu allora?

A 16 anni, con una ragazza svedese, naturalmente sul Garda. Peccato che allora il lago non fosse cool com’è oggi. La mia prima volta fu in un acquitrino, fra le zanzare, in una specie di palude qual era Peschiera all’epoca, tolta l’isola, fuori dalla fortezza. Poi è stata bonificata e ai giorni nostri è proprio un’altra cosa.

Ha recitato in 59 film per il cinema e in 32 per la televisione, ma anche in 5 programmi per il piccolo schermo. Ha vinto il «Globo d’oro» per «Il giardino dei Finzi Contini» con la regìa di Vittorio De Sica.

E ho fatto 8 anni a teatro, recitando nell’unica versione per il palcoscenico de «La strada» di Federico Fellini.

Fellini, De Sica, gli esordi con Sergio Leone per «Il buono, il brutto, il cattivo» e «C’era una volta il West». L’elenco sarebbe infinito. Quale regista le ha trasmesso qualcosa più degli altri?

Sono ancora in contatto con Enzo G. Castellari, mio amico come lo era Monte Hellman. Con entrambi ho instaurato un rapporto umano duraturo, al di là dei film girati insieme. Oltre il lavoro, un’amicizia vera.

E fra gli attori?

Quando si sta sul set è difficile, si è sempre concentrati sulle battute da dire, specialmente quando si recita in inglese. È un lavoraccio, c’è poca voglia di scherzare. Sono rimasto amico di tutti e di nessuno in particolare. Però frequento Jerry Calà, anche lui abita in questa zona. In ripresa, fortunatamente, dopo l’infarto che l’ha colto a Napoli. Ha chiesto di tornare presto sul set. Intorno a lui tanto affetto, ma anche i soliti leoni da tastiera dei social. Quanto ai No Vax che l’hanno insultato collegando l’infarto al fatto che Jerry si era vaccinato, dico semplicemente che i matti ci sono sempre, ovunque. Quelli come Calà, come me, sono esposti. Sappiamo che ci diranno tante cose, anche stupidaggini. L’importante è che Jerry si stia riprendendo. Ha carattere, uno spirito eccezionale.

Anita Ekberg, Ursula Andress, Charlotte Rampling, Edwige Fenech, Brooke Shields. La lista delle sue conquiste eccellenti è lunga. Il segreto dell’arte di sedurre?

Non esiste una scienza esatta che abbia risposte certe sul tema. Per la mia esperienza, per la conoscenza che ho maturato delle donne, non sono il sesso debole, ma hanno bisogno di fidarsi, di sentirsi al sicuro: un uomo conquista una donna se si dimostra corretto, se è sincero e non ha complessi. Sembra poco ma non lo è, perché il mondo è pieno di uomini complessati. Io fortunatamente di complessi non ne ho mai avuti, ho sempre avuto quello che volevo. Chi ricorre al classico divano del produttore, il regista che gira film solo per andare a letto, merita solo disprezzo. Io credo che la sincerità, la correttezza vincano. Sono rimasto amico di tutte le mie ex e mi trovo sempre benissimo con l’universo femminile.

Se potesse girare il suo film dei sogni?

Ho un desiderio, da tempo. Non riguarda un ruolo particolare, perché ne ho svolti tanti in mille generi diversi. Ma ho ideato e scritto un mio film, devo montarlo e non ci sono ancora riuscito. Voglio farcela. È ambientato in Veneto, incentrato sugli industriali che si sono suicidati perché «impiccati» dalle banche.

Titolo?

«D’onore si muore». Racconto i kamikaze veneti, completamente diversi da quelli lombardi che ritengo più pragmatici. Per il veneto l’azienda è una famiglia, se va male si sente responsabile come un papà e non regge il disonore. Questo film è il mio sogno nel cassetto.

Lei ha una voce perfetta per il teatro come per il cinema: perché a volte l’hanno doppiata?

Per risparmiare. È sempre una questione di soldi: se io impiego una settimana a doppiare le mie parti, un doppiatore professionista fa tutto il film in due giorni. La produzione così spende meno e i budget italiani purtroppo sono sempre strettissimi. A volte invece stavo lavorando all’estero, non facevo in tempo a rientrare e c’era il film in uscita: a quel punto davo l’ok e mi facevo doppiare. Sempre un problema molto pratico.

È esistita un’epoca di attori dal grande fascino, anche in Italia: lei come Giuliano Gemma e Terence Hill, per citarne un altro paio, e prim’ancora mostri sacri come Marcello Mastroianni. Oggi il trono in Italia pare vacante.

Non solo in Italia. È una questione di mercato. Il cinema americano vendeva prodotti con etichette precise e aveva costruito sex symbol come Marlon Brando, Gregory Peck, Marilyn Monroe. Vite sopra le righe perché il pubblico voleva evadere, voleva sognare. Si creavano divi, la major company li metteva sotto contratto per 7 anni e ne dirigeva le mosse anche fuori dal set. Oggi comandano le televisioni con le loro lunghe serie, non c’è più il box office dove avere Steve McQueen faceva la differenza. Non si cerca l’evasione dalla realtà, vincono i divi della porta accanto. I personaggi vincenti sono i presentatori dei quiz che vanno in onda tutti i giorni, entrano in casa delle persone anziane, tengono compagnia come gente di famiglia.

Lei ha spaziato dall’attività politica, candidandosi per Forza Italia alle politiche e come sindaco per i Cattolici Liberali Cristiani alle amministrative di Verona, a reality nazionalpopolari come l’Isola dei Famosi e il Grande Fratello Vip. Oggi chi è Fabio Testi? In quale dimensione si sente più a suo agio? Faccio letture sceniche di poesie d’amore, da García Lorca e Neruda a Prévert, con i suonatori che m’accompagnano. Portiamo il nostro spettacolo nei teatri, nelle chiese, nelle ville antiche. Mi diverto. Sono stato di recente a Lucca, in una cattedrale, con un’acustica meravigliosa, un’atmosfera stupenda. Ho ancora la pelle d’oca. Mi emoziono ancora, tanto.•.

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