«Faccio di tutto sul palco di Botticino perché la musica è arte, imprevedibilità Il Festival? Piatto, pieno di mestieranti»

di Gian Paolo Laffranchi
Francesco Maria Tricarico e Francesco De Gregori. Insieme hanno cantato, suonato e fatto tourSabato al Centro Lucia di Botticino Tricarico: ha 53 anni
Francesco Maria Tricarico e Francesco De Gregori. Insieme hanno cantato, suonato e fatto tourSabato al Centro Lucia di Botticino Tricarico: ha 53 anni
Francesco Maria Tricarico e Francesco De Gregori. Insieme hanno cantato, suonato e fatto tourSabato al Centro Lucia di Botticino Tricarico: ha 53 anni
Francesco Maria Tricarico e Francesco De Gregori. Insieme hanno cantato, suonato e fatto tourSabato al Centro Lucia di Botticino Tricarico: ha 53 anni

Poeta, pittore, polistrumentista. Francesco Tricarico è un esempio d’artista metropolitano del terzo millennio, moderno nel suo sfuggire alle mode. Il suo manifesto dà il titolo al suo ultimo singolo e anche alle date che sta collezionando in giro per l’Italia: il «Faccio di tutto tour» passa anche da Brescia, per la precisione da Botticino, sabato alle 21 al Teatro Centro Lucia. Prodotto in collaborazione con Luca Zannotti, vede il cantautore milanese condividere il suo viaggio con Michele Fazio al pianoforte. Fra sogno e realtà, esorcizzando la precarietà della condizione umana con pensieri, parole e canzoni che riflettono un’attitudine disincantata e visionaria insieme. Surrealismo e iperrealismo, estremi che si toccano. Undici album, l’exploit di «Io sono Francesco» nel 2000, la conferma di «Vita tranquilla» del 2008 (Premio della Critica Mia Martini al Festival di Sanremo), «A Milano non c’è il mare» in duetto con Francesco De Gregori, collaborazioni che spaziano da Adriano Celentano, Zucchero, Gianni Morandi a Malika Ayane e Drusilla Foer. Con questo bagaglio Tricarico si presenterà sul palco del Centro Lucia, dopo l’apertura del concerto affidata alle 20.40 a Bontempi, «cantautore dalle semplici parole» (ipse dixit) con la sua chitarra acustica.

Farà tutto, dunque. Nello specifico?
C’è un canovaccio. Ci sono le canzoni, una scaletta pensata prima. Ma nasceranno spunti di riflessione e di divertimento attraverso la complicità col pubblico, momenti comici di avanspettacolo e anche emozionanti.

In due sul palco.
Sì, io e Fazio, amico e musicista. In un paio di pezzi suonerò il flauto, memore dei miei inizi accademici al Conservatorio. Ci divertireremo facendo la cosa più bella che si possa fare: stare sul palco. Un momento vivo, molto importante perché mi costringe ad essere davvero presente. Sul palco del resto anche perdersi in una fantasia può diventare qualcosa di utile. Sarà uno spettacolo molto vario, perché noi siamo in due ma sembriamo tanti. Abbiamo conoscenza, esperienza, voglia di fare, di cercare e di capire.

Una formula mista, fra canzone e avanspettacolo, con una buona dose d’improvvisazione: controcorrente?
È una formula poco praticata, sì. Una modalità di fare canzoni che si sta un po’ estinguendo. Sicuramente in tempi e secoli precedenti era una consuetudine. Chi portava la musica faceva di tutto dal vivo, non c’erano radio né dischi. Tutto è più in superficie ora. Bidimensionale, molto piatto, senza anima.

Ha dato un’occhiata al Festival di Sanremo?
Dopo tanto tempo l’ho visto tutto, volevo capire a che punto siamo. Gli unici emozionati mi sono sembrati Gigliola Cinquetti e Riccardo Cocciante. Ho visto ragazzini che sembravano già morti nello spirito. Mi rattrista. La musica una volta dava la libertà di parola a chi non ce l’aveva, ora mi sembrano tutti tanto furbetti. Una volta il palco era territorio di onestà intellettuale e artistica.

Rischio e riscatto.
Certo, ma non nel senso di arricchirsi, non con il linguaggio dei rapper come Geolier. Un tempo si voleva diventare ricchi nello spirito, nell’arte innanzitutto, elevandosi. Vedo tanti mestieranti, piccoli imprenditori dalle canzoni tutte uguali, prodotte allo stesso modo dalle stesse persone. Capitava anche in passato, si va di gestione in gestione, ma di solito un regno non durava 5 anni di fila. Questa mediocrità voluta unita all’arroganza non mi piace. Nemmeno Frank Sinatra ostentava sicurezza. È la tensione, quella sincera, che ti tiene attaccato all’artista. Guardare un Festival così è stato un supplizio.

Suo figlio di 14 anni cosa dice?
Gli piaceva Geolier, prima. Dopo il Festival non lo vuole più ascoltare.

Lei viene dal jazz.
Ma mi sono formato al Conservatorio. Poi volevo darmi al jazz, ma mi sono reso conto che voleva dire ricominciare a studiare. Facevo free jazz, ma non eravamo più negli anni ’70. Ho cominciato a scrivere: conosco armonia e melodia, nella musica posso spaziare. Facile e complesso allo stesso tempo, maneggiare una materia che conosci. Puoi dare forma alle idee nelle loro sfumature.

Ha partecipato al brano «Domani 21/04.2009» di Mauro Pagani insieme ad altri 55 big della musica italiana per aiutare i terremotati dell’Abruzzo, all’evento O' Scià organizzato a Lampedusa da Claudio Baglioni. Fra tanti incontri, ce n’è uno che ha lasciato il segno più di altri?
Il tour con De Gregori, il mistero Celentano così sfuggente e affascinante. A Milano vedevo Claudia Mori quando portavo le mie cose, parlavo con lui. Poi Adriano fece una trasmissione, lo incontrai e fu una grande emozione. Inafferrabile, come dovrebbe essere un artista.

Dopo questo show?
È uscito «Faccio di tutto», ora esce «Telefono fisso». Raccoglierò i singoli dopo questo tour molto intenso e piano piano diventeranno un disco, lavorando assieme a Franco Godi. Continuerò a fare la cosa più bella del mondo: suonare, cantare, scrivere, osservare. La musica è magìa, porta imprevedibilità anche in tempi terribili come quelli che stiamo vivendo, appiattiti e atterriti, con ombre apocalittiche sulle nostre teste.

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