INTERVISTA

Gianni Berengo Gardin

di Gian Paolo Laffranchi
«Brescia affascinante scoperta Degna capitale della cultura»

Non chiamatelo artista. «Macché. Io sono un fotografo». Con tutto l'orgoglio del caso. Perché in questa parola, volendo e potendo, c'è tutto: la curiosità del reporter, lo sguardo del pittore, la sensibilità dello scrittore. Chiamatelo semmai grande maestro, Gianni Berengo Gardin. Della fotografia, è chiaro, e giustamente la nostra città gli ha dedicato una serata al cinema Nuovo Eden in occasione del Brescia Photo Festival, proiettando in prima visione il film dedicato alla sua irripetibile figura. «Il ragazzo con la Leica. 60 anni d'Italia nello sguardo di Gianni Berengo Gardin», di Daniele Cini e Claudia Pampinella, immortala proprio questa irripetibilità. La sua versatilità (innata) è sfociata nella capacità (unica) di raccontare l'evoluzione del paesaggio e del paese insieme. «C'è un continuo rimando alle vicende italiane nel film - sottolinea la figlia Susanna -. Con numerosi video d'archivio, video d'epoca. Il pretesto narrativo è stato una scrittura autobiografica, ma con un intento preciso: raccontare la storia d'Italia attraverso mio padre e viceversa, ritornando anche in alcuni luoghi fondamentali per il suo percorso».

Il ragazzo con la Leica oggi ha 91 anni, quasi 92. Una settantina abbondante vissuta fotografando. Come ha cominciato?
Ho iniziato scrivendo per giornali d'aviazione. Fotografavo aerei militari, velivoli che erano ancora a elica. In quegli anni abitavo a Venezia.

.....dopo essere venuto al mondo a Santa Margherita Ligure da Carmen, che era svizzera e lì dirigeva l'Hotel Imperiale, e da Alberto, invece veneziano.
Sì. A Venezia sono cresciuto e ho studiato. Quando non volevo più studiare, vicino al negozio che gestivano i miei c'era il circolo fotografico La Gondola, che esponeva in vetrina gli scatti dei soci. Non era il classico gruppo di fotoamatori, ma autentica avanguardia per l'Italia. Un richiamo impossibile da ignorare.

E così, eccoci qui qualche decennio dopo.
Non è stata una scelta tormentata. Dopo 6 anni da dilettante ho cominciato a cimentarmi con le foto artistiche, su riviste che volevano scimmiottare la pittura. Un bel giorno il classico zio d'America mi ha fatto conoscere la fotografia americana prima degli altri. Ho capito che poteva diventare un lavoro serio, quello, e ho deciso subito di fare il salto.

Mollando le collaborazioni più commerciali.
Esattamente. È stata una scelta di vita. Non è che sia stato facile lasciare un lavoro che mi faceva guadagnare abbastanza bene. Ero già sposato con 2 figli. Ma a trent'anni mi sono guardato dentro e ho preso coraggio senza esitare più. Mi sono dato al professionismo e sono venuto a Milano.

Ha vinto nel 1994 l'Oscar Barnack Camera Group Award per un reportage sulle comunità di zingari in Italia e nel 2008 a New York il Lucie Award alla carriera. Nel 2009 all'Università Statale di Milano ha ricevuto la laurea honoris causa in Storia e critica dell'arte. Cinque anni fa le hanno assegnato anche il Leica Hall of Fame Award. In tutto questo tempo per eclettismo e acutezza è stato regolarmente paragonato a Henri Cartier-Bresson: un modello in cui si riconosce?
Quando lo dicono mi fa piacere, ovviamente. Anche perché Cartier-Bresson stesso mi ha regalato un suo libro con dedica, scrivendomi «Con simpatia ed ammirazione». Una medaglia d'oro conquistata sul campo: mi ha reso così felice che sarei potuto morire il giorno dopo. Era più di cinquant'anni fa.

Lo considera il suo maestro?
In realtà ho imparato tutto da Willy Ronis. Devo tanto al mio periodo di formazione a Parigi, dove ho vissuto 2 anni da cameriere in albergo: altri tempi, i genitori non mantenevano i figli all'estero, bisognava arrangiarsi da soli. Io lavoravo dalle 6 del mattino a mezzogiorno, ma avevo tutto il pomeriggio libero. Io, venticinquenne, a Parigi... In quel periodo ho pubblicato le prime foto con Il Mondo di Mario Pannunzio. È stata la svolta.

Le sue fotografie sono finite in oltre 250 libri: lo scatto che le sta più a cuore?
Vaporetto a Venezia, direi. Del 1960. Anche se la più venduta è quella dell'automobile sul mare, in Scozia.

1977,Gran Bretagna, come d'abitudine in bianco e nero. Non ama il colore?
Per me il reportage e in generale le fotografie più significative stanno meglio in bianco e nero. Perché il colore distrae dal soggetto.

Le sue città: Venezia, Camogli, Milano, ora Brescia?
Io sono veneziano, con le radici sono un po' in Liguria un po' nel Veneto. Milano è da sempre sinonimo di lavoro: quando ero ragazzo non esistevano i computer e se volevo fare qualcosa in ambito industriale o giornalistico dovevo diventare milanese. Brescia invece è la scoperta più recente.

Com'è avvenuta?
È merito di Renato Corsini.

Per questo ha scritto un testo nel suo ultimo libro, «Ambulante»?
Certo: Renato non è solo un caro amico, nella fotografia è la mia anima gemella. Quando ci siamo conosciuti in una riunione di fotografi italiani è stato colpo di fulmine. Grazie a Renato ho scoperto una bellissima città.

Cosa le piace di più?
Brescia sarà una degna capitale della cultura, l'anno prossimo. Non ci sono dubbi. Mi affascina sempre molto, oltre che per i suoi monumenti, per le ville e per i viali. È una città fantastica, ancora a misura d'uomo a differenza di Milano.

Insieme a Renato Corsini, a un altro illustre collega quale Uliano Lucas e alle storiche della fotografia Tatiana Agliani e Giovanna Bertelli ha fondato il Macof: per Lucas questo centro dev'essere un'ode alla fotografia italiana e un antidoto all'esterofilia.
Giusto. Abbiamo fotografi eccezionali in Italia quali Uliano stesso, Francesco Cito, Ivo Saglietti. Peccato che francesi e americani siano presi più sul serio, in generale. Ci stiamo lavorando. In ogni caso anche i meriti del Macof vanno attributi a Renato, anima pure del Brescia Photo Festival. Quando lui prepara tutto a puntino in città, noi siamo in giro. Quello che lavora sodo è Corsini; noi altri pigliamo solo qualche decisione quando ci ritroviamo.

Cos'è la fotografia?
Una documentazione. Io questo faccio: racconto quello che vedo; documento il mondo. Non sono un artista, sono un fotografo.

E oltre la fotografia cosa c'è?
Per me... ancora la fotografia. Ecco cosa c'è.. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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