Antico Domingo

«Ho fatto ballare Sting e Clapton A Blanco direi di puntare un po’ sul funk La musica era e resta il respiro di Dio»

di Gian Paolo Laffranchi
House e non solo Alessandro Pasinelli, in arte Antico Domingo, originario del Villaggio Sereno, è immerso nella musica da sempreProduzioni da una vita Un giovanissimo Antico Domingo
House e non solo Alessandro Pasinelli, in arte Antico Domingo, originario del Villaggio Sereno, è immerso nella musica da sempreProduzioni da una vita Un giovanissimo Antico Domingo
House e non solo Alessandro Pasinelli, in arte Antico Domingo, originario del Villaggio Sereno, è immerso nella musica da sempreProduzioni da una vita Un giovanissimo Antico Domingo
House e non solo Alessandro Pasinelli, in arte Antico Domingo, originario del Villaggio Sereno, è immerso nella musica da sempreProduzioni da una vita Un giovanissimo Antico Domingo

Quasi mezzo secolo. Qualcosa come 45 anni alla costante ricerca - di suoni industriali, di percussioni tribali. Pioniere della musica dance, disc jockey attivo come produttore sin dai primi ’80, Antico Domingo - al secolo Alessandro Pasinelli - si è ritagliato su misura un viaggio fatto di uscite discografiche di successo, legando il suo nome alla Media Records (Cappella, Antico, 49ers, Zappalà e Anticappella) con risultati da record. Studiando i sintetizzatori per arricchire le sue tessiture elettroniche dai ritmi lineari con un tocco minimal che non pregiudica la potenza della proposta. Sposando le radici soul e funk a un’evoluzione elettronica. Fondando (era il 1997) Nation Rec-Con, sotto-etichetta della Oxjd Record. Parigi, Barcellona, New York e Berlino i suoi orizzonti. Esperienza ed entusiasmo, creatività e coraggio: Antico Domingo osa con sonorità inconfondibili, come conferma con l’etichetta Mazoom Techno Lab.
 

Domingo, è Antico di nome ma non di fatto. Anche negli ultimi djset, nelle produzioni e nei racconti in televisione, lo sguardo è sempre rivolto al futuro. Se riavvolge il nastro?
Ho avuto la fortuna di abitare al Villaggio Sereno e di cominciare a 12 anni, facevo già il piccolo alla radio. Che emozione trasmettere: il fascino della diretta, la passione per la musica.
 

Artisti preferiti?
Sono rimasto folgorato dai Doors. Da Jimi Hendrix. E dai Pink Floyd. Poi mi son spostato sull’hard rock dei Deep Purple e dei Led Zeppelin, sull’elettronica dei Tangerine Dream: è nato così il mio percorso con i consigli di Beppe Loda, che mi ha insegnato tanto; insieme siamo andati a cercare i dischi un po’ in giro, senza sosta. La cultura musicale si forma piano piano, con pazienza, anche attraverso gli incontri felici nei locali.
 

Il primo che le viene in mente?
Meclamonti, uno dei primi dj in assoluto. Quando le tavernette si trasformavano nelle prime, vere discoteche.
Il pezzo che non deve mancare mai in un djset?
Sempre e comunque, Hamilton Bohannon con «Let’s start the dance»: uno dei quei pezzi che hanno fascino e presa sulla pista. Senza arrivare a «Santa Esmeralda», scelta che suonerebbe scontata, cerco un po’ di funky, terreno in cui si finisce sempre per affidarsi a Rose Royce e cose così. Potrei dire anche Edwin Starr, la dance di Giorgio Moroder con Donna Summer. Tutto un mondo ancora attuale, sfociato nell’Italo Disco.
 

La produzione di cui va più fiero?
«We gotta do it», di Zappalà. Dall’hip hop alla techno, un processo di trasformazione in cui da produttore ho sentito di incidere. Del resto l’attenzione al nuovo non mancava di certo: con il negozio di dischi Mandragora in città, insieme a Gianpietro Pacetti, spingevamo techno e trance. Siamo stati i primi a scoprire Robert Miles. Lo sperimentammo al City. Importammo Paul Van Dyke dall’Olanda, andavamo ai rave in Svizzera. Con Zappalà a Milano avevamo aperto KZ, un negozio che vendeva house e techno. Le prime cose minimal in Italia, con etichette di tendenza dall’Austria e dalla Svezia.
 

Grandi discoteche, grandi dj: cosa c’era di così speciale nel Bresciano?
La competenza nei locali, da cui partiva tutta la ricerca. Se un dj come Beppe Loda ha influenzato quasi tutti i giovani della mia generazione che amavano la musica, vuol dire che ognuno di noi si è poi fatto un bagaglio culturale accessoriato. Per scovare i pezzi giusti andavamo in Germania, i primi dischi brasiliani li ho potuti comprare a Parigi. Ci facevamo spedire le copie da ovunque. Poi ci mettevamo del nostro: la capacità di associare l’afro al funky e all’elettronica. Nostra specialità racchiudere una formula musicale mista, ricca di contaminazioni, in cassette che giravano, si doppiavano.
 

Perché oggi il livello qualitativo in generale si è abbassato?
Perché mancano i musicisti veri. Perché una volta stare in studio implicava il banco di un mixer mentre ora basta un computer. C’erano ingegneri del suono che rendevano i pezzi opere d’arte. Oggi ci sono i virtual strumenti, decisamente non all’altezza delle produzioni più vintage che utilizzano mezzi più ricchi. I giovani oggi di regola vogliono tutto subito, soldi e popolarità. Ma sono castelli di sabbia: la qualità richiede conoscenza, i plug-in e i copia-e-incolla non bastano se mancano le basi.  

Cosa farebbe, da produttore, se lavorasse con un trapper in voga? A Blanco, che fa anche pop, direi di mettere un po’ di afro funk nei suoi pezzi. Con un Manu Dibango o un Fela Kuti nel motore decollerebbero. James Brown stesso immerse il suo soul in Kenya per diventare davvero funky. La tromba sul battere, come la cassa di una batteria. Ritmo!

Migliaia di serate in consolle, nel Bresciano e in giro per il mondo. La prima che le viene in mente?
Non posso dimenticare le estati a Pantelleria. Lì hanno registrato i Pink Floyd. Dopo il grande Coccoluto sono stato io a portare l’house su quell’isola che mi ha adottato. All’Oxidiana ho fatto ballare Eric Clapton e Sting.

Prossimo sogno da realizzare?
Una serata con le installazioni sonore. La stiamo progettando attraverso Mazoom Label, con Sergio Buio. Mike Atom è l’artista di punta, con la nostra melodic techno ogni 6-7 mesi piazziamo una hit a forza di download.

Cos’è la musica?
Il respiro di Dio. Ti fa vivere e sognare, ti porta in alto.

E un dj cos’è: un artista, uno psicologo, un cuoco?
È un divulgatore, come un giornalista che trasmette notizie dal mondo musicale. Nel mixaggio c’è il risultato di un progetto. L’hip hop e l’house nascono così, da un giro di basso e una melodia, con il groove che può convivere con la classica. Sperimentando passo dopo passo.

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