Kledi Kadiu

di Gian Paolo Laffranchi
«La mia Italia è cominciata a Gavardo La danza è arte pura, Fracci l'esempio Ma in tv chi sa far qualcosa è fuori posto»

«Notti magiche/Inseguendo un gol». Italia ’90 e in Albania si sogna l’Italia, appunto. Più delle prodezze spiritate di Totò Schillaci, «una vita diversa. Migliore». Kledi Kadiu la vuole e va a prendersela. Si diploma all’Accademia nazionale di danza, entra a far parte del Corpo di Ballo del Teatro dell’Opera di Tirana, si imbarca su una «carretta del mare» alla volta del Belpaese, ma una volta arrivato viene rispedito indietro. Un’odissea immortalata dal docu-film «La nave dolce». Naturalmente non si arrende e si rifionda in Italia, trovando la fortuna che cerca nel piccolo schermo. È il 1996 e comincia l’escalation targata Mediaset: «Buona Domenica», «C'è posta per te», soprattutto «Amici di Maria De Filippi». Nel 2004 inaugura la scuola Kledi Dance a Roma, nel 2005 arriva il primo film «Passo a due»; seguono «La cura del gorilla» con Claudio Bisio e la fiction Rai «Ma chi l'avrebbe mai detto». Tv, cinema, calendari e teatro, con «Giulietta e Romeo» e il Balletto di Roma. Il sogno americano in Italy. Conquistando anche il Garda, dove ha aperto la Kledi Dance Desenzano e dove il mese scorso ha portato la sua arte al gala Carla Fracci Mon Amour.
 

Com’è approdato alla sponda bresciana del lago?
Nel nostro lavoro succede che qualcuno venga a vedere uno spettacolo e chieda un contatto: così nascono le collaborazioni. In questo caso devo ringraziare un mio amico connazionale, Klodian Cela, che conosceva bene Silvia Frecchiami e ha fatto da tramite. Silvia, che era amica di Carla Fracci, è stata ed è fondamentale. Ci siamo conosciuti, abbiamo fatto una prima esperienza con giovani allievi e ci siamo trovati bene. Io avevo già una rete di affiliazioni in Italia e Desenzano è diventata la sede del Nord. Insieme rendiamo omaggio all’inimitabile Fracci: prima l’abbiamo fatto a Cervia, poi da Milano Marittima siamo passati a Desenzano.
 

Quale eredità lascia Carla Fracci?
Chi l’ha conosciuta ha una fortuna inestimabile. Lei e suo marito Beppe Menegatti, libri di storia da sfogliare. A cena, dopo gli spettacoli, prendevano la parola per raccontare episodi che non troverai scritti da nessuna parte. Carla aveva una personalità fuori dal comune. Empatica con allievi, insegnanti, genitori, disponibile a prescindere dal contesto, che fosse la Scala o una piazza, l’Opera di Roma o una scuola di periferia. Sempre, sempre, sempre impeccabile. Umiltà e talento. Un esempio.

Dalle danze televisive con Rossella Brescia alle lezioni di danza nel Bresciano.
In realtà nel Bresciano sono arrivato ben prima della fama televisiva. Ho uno zio a Gavardo: la prima volta che arrivai in Italia, nel ’91, quando facevo tournée con l’Accademia di Tirana, mi sono fermato un paio di mesi in Valsabbia. Andavo in giro cercando scuole di danza a Salò, sul lago di Garda. Mi sono sentito a casa.

Più di trent’anni dopo si discute ancora di accoglienza dei migranti.
Purtroppo è una questione politica. Si tende da più parti a spaventare la gente, a farle vedere chi arriva da un altro Paese come una minaccia e non come un arricchimento. Così si condiziona la mentalità di una generazione. Chi sa, si rende conto. Gli altri danno fiato alla bocca e parlano a vanvera. Ma questo oggi non riguarda solo l’immigrazione, è uno sport praticato in ogni settore: parlare senza conoscenze né competenze.
 

L’integrazione fra italiani e albanesi è nelle cose.
Sì, a tutti i livelli: penso per esempio a un ex campione diventato dirigente di calcio come Igli Tare, arrivato proprio a Brescia. L’integrazione fra noi è facile perché basata su una cultura comune, soprattutto al sud. Io sono un albanese naturalizzato italiano. Gli albanesi della mia generazione sono cresciuti sognando l’Italia. Succedeva trent’anni fa. Era un periodo più sano.
 

Gli allievi di oggi?
Sono cambiati. Rispecchiano la società. Ci sono quelli volonterosi, ma anche quelli che lo fanno solo per accontentare genitori che proteggono i figli nella maniera sbagliata, convincendoli che l’insegnante non merita fiducia e difendendoli a prescindere. Dopo il Covid le cose sono peggiorate: i ragazzi vogliono tutto subito, bruciano le tappe, si stufano e cambiano. La qualità è calata. A scuola di danza ho visto genitori venire a prendere i figli anche con 2 ore di ritardo, pur di non stare con loro. Ragazzi lasciati a loro stessi, e non tutti hanno un ambiente come una palestra o una piscina a proteggerli. Così finiscono per strada. 

Cos'è la danza?
L'unica delle discipline artistiche in grado di comunicare solo con il corpo, di cui bisogna prendersi cura. Arte pura. Io ho investito tutto nella danza. Tutto ciò che dovevo raggiungere l'ho superato senza pormi obiettivi: mai e poi mai avrei pensato di fare una fiction e un calendario, di raccontare il mio percorso in un libro a quattro mani, «Meglio di una favola. La mia vita». Tutte esperienze che hanno arricchito il mio bagaglio artistico di danzatore. Adesso mi dedico con gioia alla divulgazione, passo i weekend girando l'Italia per condividere ciò che ho imparato con i giovani. È un passaggio di testimone.

E la tv?
Ho fatto «Amici» per 17 anni. Sono sempre in contatto con Maria De Filippi, i nostri rapporti sono ottimi, le chiedo ancora consigli e ogni tanto ci sentiamo anche al di là del lavoro. Ma la tv in generale non dà più spazi. Quasi quasi oggi chi sa fare qualcosa deve sentirsi in imbarazzo. Dalle prime scelte di Piersilvio Berlusconi sembra che qualcosa sia destinato a cambiare. Sembra... Speriamo.

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