INTERVISTA

Michele Coratella

«Blanco, Ottavia e i Level 42 alla ricerca del suono perfetto»

Musicista poliedrico, che si tratti di imbracciare una chitarra o confezionare un pezzo da cima a fondo. Fonico e produttore, anima del Mikor Studio, Michele Coratella ha suonato tanto, forgiato progetti, partorito dischi. Collaborato con i Level 42, conosciuto Blanco prima che spiccasse il volo .«Aveva 14 anni, Riccardo - ricorda oggi, all'indomani dei fasti sanremesi del ragazzo di talento che allora si faceva chiamare Fyrex -. Si presentò con le sue basi strumentali, assecondato dalla madre Paola. Educato, determinato».

Avrebbe mai immaginato un'esplosione del genere?
Anche se doveva presentarsi con la mamma, visto che così giovane non poteva certo avere la patente, era già forte. Veniva dalla periferia, dalla provincia. Bravo Blanco! Ci sono, ogni tanto, quelli che li ascolti e dici «ok, ci siamo». Riccardo è uno di quelli. Il suo pezzo sanremese con Mahmood è una splendida ballata dell'epoca che stiamo vivendo. È una canzone d'amore per tutti; ognuno di noi può trovare il suo significato.

Come le sono parse le esibizioni all'Ariston?
Riccardo, nonostante l'età (forse a causa dell'età) su quel palco è parso molto a suo agio, sembra se la sia goduta al massimo e si sia proprio divertito. Performance pazzesca per entrambi, sia Blanco che Mahmood non hanno fatto trasparire alcuna difficoltà. Un Festival indimenticabile, e per Riccardo era il primo!

Brescia protagonista nella musica. Ma esiste - o è esistita - una scena bresciana?
Sì. C'è stato un periodo in cui chi faceva musica a vari livelli frequentava gli stessi posti, bazzicavamo negli stesis locali, c'era uno scambio e la sensazione era quella di essere all'interno di un'unica scena. Anche se pensavo «Ce la raccontiamo tra noi».

Una decina minimo d'anni prima del fenomeno Blanco, per capirci.
Il problema è stato di diffusione delle nostre proposte, di confini mai superati: sia la scena romana come quella genovese sono partite dalle loro radici, dalle loro zone, per arrivare a tutti, in ogni parte d'Italia, mentre le nostre proposte sono rimaste nostre. Forse siamo stati un po' provinciali, di sicuro ci siamo accontentati.

Un'eccezione alla regola?
Non posso non sottolineare il ruolo della Latteria Molloy, importante per me come per molti altri. Grazie alla Latteria ho potuto conoscere l'indie bresciano e suonare con gli Annie Hall, di cui sono rimasto molto amico. Il 4/qUARTI è una grande festa, una maratona live stupenda che rappresenta tanta provincia della nostra musica, ma lì siamo rimasti. Forse è mancata la fame, quella che ha contraddistinto artisti come Alberto Belgesto che andava e veniva da Milano tutti i giorni con la sua chitarra, facendo sacrifici per pubblicare un disco che poi ha effettivamente pubblicato. E penso a Fausto dei Coma_Cose, agli sforzi che ha compiuto fin dai tempi in cui si chiamava Edipo. E alla fine ce l'ha fatta a imporsi.

Nato a Brescia. Origini?
Pugliesi. Mio papà è nato al Nord; mio nonno carabiniere era di Andria, si è trasferito per lavoro. Sono stato per la prima volta in quella zona per partecipare al Mei, in aereo con Omar Pedrini e Belgesto fino a Bari, 7-8 anni fa. Io sono venuto al mondo all'ospedale Civile e cresciuto a Flero. Giocavo a pallone col fratello di Andrea Pirlo, che già da piccolo era talentuosissimo.

Quando è comparsa la musica nella sua vita?
Alle superiori. Dopo le elementari e le medie a Flero sono passato in città al liceo Calini, frequentando il linguistico.

Il primo innamoramento?
Per i Pink Floyd. Colpa del mio professore di francese, che me li ha fatti sentire in un live dell'87. Sono partito da lì.

Alla ricerca del suono perfetto.
Cominciare dai Pink Floyd è qualcosa che ti indica la strada. All'inizio mi facevano anche un po' paura. «One of these days», nella mia cameretta... Ricordo bene l'effetto. Ho iniziato a interessarmi alla chitarra. con Filippo De Paoli, il mio compagno di banco.

Poi frontman dei Plan de Fuga
.
Filippo aveva già cominciato. Abbiamo formato una band, facevamo cover dei Pink Floyd. Giampietro Occhialini era il batterista.

Mai pensato di fare altro?
Mi sono iscritto a giurisprudenza, a Brescia. Ma fare l'avvocato alla fine no, non era la mia indole. Avevo poco a che fare con quel mondo.

A chi deve dire grazie?
Beppe Rusconi, già maestro di Mauro Susa e Carmelo Leotta, mi ha insegnato a suonare la chitarra. Registravo cose con la mia band, mi ascoltò e disse «carino, per chi vuol farlo come hobby». Ho capito che dovevo fare sul serio e sono andato a Milano a fare il Sae. Lavoravo al Toys Center di Campo Grande, ho mollato tutto. E dopo il Sae già usavo Pro Tools, quindi fui subito mandato da Lucio Fabbri al Metropolis. Lì mi sono trovato male, mi sentivo trattato come l'ultimo arrivato e mi pesava stare a Milano, soffocavo. C'era Taketo Gohara, fu lui ad aprirmi la porta e mostrarmi lo studio. Non mi andava di lavorare giorno e notte gratis, avevo già 25 anni. E ho cambiato direzione.

Come?
Mi hanno chiesto di fare un disco gli Avanzi di Balera, il cui batterista era appena tornato da Londra dopo aver lavorato con Bruce Dickinson. In quei giorni ho conosciuto Paola, mia compagna da vent'anni. Nostra figlia Camilla oggi ha 14 anni e frequenta il Leonardo. In quel periodo cruciale decisi di cambiar vita ed eccomi qua.

Ed ecco il Mikor Studio. Come mai Mikor?
Andavano di moda i nomi con la k. Il mio compagno in Sae, Gargiulo, produtore de Lo Stato Sociale, era stato mandato al Nikto studio.

Michele, Coratella, Mikor.
L'idea venne così.

Un disco di cui va fiero, fra quelli che ha prodotto?
Sono molto contento di quello firmato nel 2019 da Riccardo Maffoni, che conosco da tempo. Di quello di Ottavia Brown, realizzato subito prima del lockdown. Del primo album dei Don Turbolento, premiato al Mei. E del disco de La Crisi di Luglio, di cui sono stato molto soddisfatto.

Lei ha sempre suonato anche dal vivo, per esempio con gli Annie Hall. Cosa le piace fare di più, lavorare in studio o esprimersi sul palco?
Mi piace tutto, così come non distinguo fra cantautori e band. Penso però che per chi fa il mio mestiere essere musicisti voglia dire molto. Non è obbligatorio, ma aiuta.

Un nome che stima in special modo?
Greg Wells, che ha prodotto il primo disco di Mika.

Le influenze che le sono rimaste dentro?
Brian Eno. Il pop con le chitarre elettriche, l'ondata brit dei primi Coldplay, di Travis, Manic Street Preachers, Mansun, Stereophonics. In Italia questo genere ha attecchito poco purtroppo. Il mio preferito è Riccardo Sinigallia, come musicista e come produttore. Ho avuto la fortuna di lavorare e dialogare con lui. Eccezionale.

Un'esperienza che è felice di aver vissuto?
Quella con la Bottega degli Autori di Ghedi. Ho un ottimo rapporto con Diego Calvetti, con cui mi sento regolarmente. Curiosità, Qualche anno fa mixato e suonato per un pezzo di Evailo, ragazzo che aveva vinto X Factor in Romania. E ho avuto la fortuna di mixare pezzi con componenti dei Level 42. Grandi musicisti.

In che direzione va la musica adesso?
C'è un nuovo mainstream nato dall'hip-hop: Salmo, Mace, Venerus. Poi, sono tornare le chitarre. Si pensi ai Måneskin.

E lei in che direzione va?
Il prossimo progetto è l'uscita del nuovo pezzo di Fabio Dondelli.

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