l'intervista

Omar Pedrini: «Saluto il rock and roll con l'ultimo tour: venite a vedermi morire sul palco... Se mi salvo, vado a vivere in campagna»

di Gian Paolo Laffranchi
Trentacinque anni di carriera. Trenta dall'epocale «Viaggio senza vento». Lo Zio Rock ha pubblicato 19 dischi e 350 canzoni. E ora? Il nuovo tour, dice, sarà l'ultimo.

Trentacinque anni di carriera. Trenta dall'epocale «Viaggio senza vento». Per Omar Pedrini è tempo di voltare pagina, alla sua maniera. «Per me è sempre tempo di progetti più che di bilanci - premette lo Zio Rock -. Tutti questi anniversari mi hanno costretto a guardarmi indietro: mi fa piacere, vent'anni fa chi avrebbe detto che oggi sarei stato ancora qui a commentarli? Ho pubblicato 19 dischi e 350 canzoni. Ho sempre fatto quello che mi pareva, senza rincorrere le mode, coerente con la mia identità. Così anche adesso».

«Dai Timoria ad oggi: Goodbye rock'n'roll»: il nuovo tour che sarà l'ultimo. Perché?

Sento che è arrivato il momento giusto. Sono emozionato, con una punta di malinconia naturalmente. Il fatto di portare in giro il mio rock prevede una parte molto fisica nei concerti, sul palco mi sono sempre mosso come fossi negli Who, vivo la musica anche col corpo. Ho subìto 7 interventi in 19 anni, 4 negli ultimi 2 anni, per i miei problemi cardiaci: pericoloso fare 2 ore di rock and roll così. Un cardiologo che mi ha visto all'opera quest'estate in Castello mi ha detto «Omar, così non va bene». E quella sera ero calmo! Non voglio fare come quelle star vecchie e bolse che salgono sul palco con la bottiglia di tequila riempita d'acqua. Non faccio più la vita di una volta: dopo i concerti bevo giusto due gin tonic, il minimo sindacale, e vado a nanna; non digerisco nemmeno più le spaghettate notturne. Io non fingo, sono uno vero. E il gnaro di Urago Mella che sono e sarò sempre vuole fermarsi in Serie A, senza cadute di tono e di stile. L'ultimo tour che ho fatto prima del Covid aveva medie di 1.700 spettatori a sera, ma non sono quello che continua a fare qualcosa soltanto perché rende: non sarei onesto. Una volta la serata cominciava dopo il concerto, c'erano due modelle ad aspettarmi in albergo; oggi se faccio il mulinello con la chitarra poi rischio di passare la notte sveglio con i dolori per le ferite delle operazioni. Non sarò mai la caricatura di me stesso, questo è sicuro. Non mi tingo i capelli, non faccio featuring improbabili.

Come saluterà il suo pubblico?

Ho in mente uno show di oltre 2 ore, voglio fare almeno un brano per ogni mio disco; «Viaggio senza vento» peraltro è difficile da ridurre in un pezzo, così «Che ci vado a fare a Londra?», il mio album solista finora di maggior successo che a gennaio festeggia i 10 anni con una ristampa Universal; in più ci sono le canzoni nuove di «Sospeso», che ha avuto un'accoglienza perfino superiore alle attese mettendo d'accordo pubblico e critica. Sarà un concertone, spenderò tutte le energie che ho per reggerlo.

Preoccupato?

Rischierò la vita: venite a vedermi morire sul palco, il sogno di ogni rocker... Ma se arriverò alla fine sano ho promesso a mio suocero cardiologo che poi terrò conto del fatto che i miei figli sono suoi nipoti. Penso a mia moglie, ai miei figli. Per questo voglio sopravvivere a questo tour. Ce la metterò tutta.

Si comincia il 27 ottobre al Viper Club di Firenze. Poi in novembre il 3 al Druso di Bergamo, l'11 al Largo Venue di Roma, il 17 al New Age di Roncade e il 23 a Isola della Scala. Si sta aggiungendo una data a Rimini e altre potranno arrivare, ma finora Brescia non è nella lista. Eppure qui è di casa, amatissimo. Come mai?

Sono amato dalla gente e anche se vivo a Milano da tempo i legami resistono, ho vissuto come una ferita la morte dell'amico Sasà Massarelli. Sono in contatto con tutte le persone che mi vogliono bene, e sono tante. Ma non può non amareggiarmi il fatto che a Milano, dove mi sono trasferito per lavoro nel 2000, io sia apprezzato e coinvolto dalle istituzioni che mi aprono tutte le porte, mentre a Brescia questo non succede. Un dispiacere non suonare nella mia città, ma è una scelta: qui non mi sento più a mio agio. Sono stato messo da parte, nell'anno della Capitale ho proposto l'abbinamento coi Pinguini Tattici Nucleari e non sono stato preso in considerazione. In più ho ricevuto un attacco immotivato sui social nel giorno in cui ero sotto i ferri a Vicenza, e potevo perdere la vita.

Allude al post del marzo scorso del presidente della Festa della Musica Jean-Luc Stote, che ha manifestato su Facebook il suo fastidio per una foto che la vedeva in compagnia dell'allora candidato Fabio Rolfi?

Sì. Nessuno mi ha chiesto scusa, nessuno mi ha chiamato tranne Rolfi stesso ed Emilio Del Bono, l'ex sindaco. Ringrazio entrambi. Due politici di schieramenti diversi, naturalmente, perché in quella foto io e Rolfi stavamo guardando una partita del Brescia: io non sono schierato, anche se ho sostenuto per due volte l'elezione di Del Bono che è dall'altra parte. Questa vicenda mi ha fatto male. La mazzata finale è stata la mancata celebrazione di Brescia Music Art 25 anni dopo. Con quel festival di caratura internazionale avevo fatto tanto senza costare nulla alla città. Grottesco che nell'anno della Cultura non sia stato ricordato.

Se pensa al futuro, come lo immagina?

Affronto il mio stato di salute abbandonando il lato selvaggio del mio mestiere, ma non la musica. Faccio questo tour, mi sto togliendo soddisfazioni: ho appena rinnovato con Universal e firmato con Franz Cattini di International. Dopodiché voglio seguire la mia azienda agricola a Cetona, in provincia di Siena, e trasformarla in un indotto, da hobby a lavoro, bed and breakfast e agriturismo. Mi trasferirò lì. Passerò metà settimana in Toscana e metà a Milano. Con i cambiamenti climatici in atto preferisco vivere in campagna con la mia famiglia, a un passo da Firenze e a un altro da Roma. Nel mio buen ritiro non mancherà uno studio di incisione dove realizzare canzoni. Cosa ne farò, ancora non so. Non ho mai scritto per altri, potrei cominciare.

Se riavvolge il nastro, a quale pezzo è più legato?

Non dimentico cosa disse Alberto Bevilacqua dopo aver sentito «L'uomo che ride» a Sanremo: «Voglio conoscere Omar Pedrini, me lo immagino come un giovane vecchio dai lunghi capelli bianchi». Scrissi quella canzone a 19 anni! Ma se devo scegliere un pezzo, dico «Sole spento»: anticipa la mia fase inglese e saluta quella più hard rock, unisce poesia e impegno sociale. Certo, anche «Sangue impazzito»...

Chi le piace oggi?

Ho incontrato Lucio Corsi e ricambio la stima che ha per me: lui sta riportando in auge il glam rock, è un magnifico folletto, una speranza per chi ama la musica vera in Italia.

Il suo sogno, qui e ora?

Il segreto di Ferlinghetti, che cito nell'ultimo brano del mio ultimo disco: «Diventa ciò che sei». Il sogno della beat generation è anche il mio. Lo è da cinquant'anni e lo sarà sempre.

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