INTERVISTA

Paolo «Blodio» Fappani

di Gian Paolo Laffranchi
«Musica, la mia scelta di vita. La sfida è The Great Inferno»
Con Michele Bertoli (conosciuto con i Marydolls) «Blodio» porta avanti The Great Inferno FOTO DANIELE DI CHIARA
Con Michele Bertoli (conosciuto con i Marydolls) «Blodio» porta avanti The Great Inferno FOTO DANIELE DI CHIARA
Con Michele Bertoli (conosciuto con i Marydolls) «Blodio» porta avanti The Great Inferno FOTO DANIELE DI CHIARA
Con Michele Bertoli (conosciuto con i Marydolls) «Blodio» porta avanti The Great Inferno FOTO DANIELE DI CHIARA

Progettare, produrre, promuovere. Princìpi-base di Paolo «Blodio» Fappani, fedele alla linea di una scelta di vita che cita orgogliosamente Radio Freccia: «Credo nella perenne evoluzione musicale di Bobbie Gillespie, nella semplicità dei completi Ben Sherman e nella "lentezza" illuminante di Pep Guardiola in mezzo al campo». Rock e fobàl con stile, rigorosamente made in Brescia. Domani Fappani pubblicherà in digitale il primo disco griffato nel 2020 The Great Inferno, che adesso è una creatura a due teste (Michele Bertoli l'altra anima). L'ennesima tappa di una carriera abbracciata a inizio millennio e segnata subito da una svolta. «Era il 2004 - ricorda - ed ero avviato alla professione di commercialista, quando problemi seri di salute mi hanno portato a riflettere sul senso di tutto. Una volta guarito ho fatto la mia scelta esistenziale. Potevo scegliere fra il mestiere e la musica».

Ha scelto la musica.
Sì, rendendola mestiere a 360 gradi: ho cercato di vivere scrivendola e organizzandola, le ho dedicato la vita. La malattia è stata lo spartiacque, dopodiché dubbi zero.

Fu colpo di fulmine?
Ricordo ancora i primi pezzi che mi hanno fatto innamorare: «Moonlight Shadow» di Mike Oldfield, «Pastime Paradise» di Stevie Wonder. Ero in fissa. Un giorno ho comprato «Arena» dei Duran Duran, un altro «Killers» degli Iron Maiden.

Giorni decisivi per la formazione del suo gusto, passando dal new romantic al metal.
Non così distanti: erano le due facce del postpunk.

Studi bresciani?
Sì, tutto in città: elementari, medie, Ragioneria al Ballini, all'università Economia e Commercio con un master in management delle imprese culturali.

In casa sua la musica c'era o mancava?
C'era e di ogni tipo: i miei mi portavano all'opera già quando avevo 7 anni. Avevamo un palchetto al Teatro Grande, ricordo il Don Giovanni, Madama Butterfly...

La sua prima band?
Nel 1989, avevo 16 anni. Chitarra e voce. Ci chiamavamo The Strollers: i vagabondi. Perché non eravamo mai a baita.

E perché «Blodio»?
Era il 1995 e il mio batterista, Ermanno Sandri, si era stufato di chiedermi di suonare «El Diablo»: non lo accontentavo mai. «D'ora in poi ti chiamerò Diablo», sbottò. Da lì, grazie al trancorio, si passò a «Blodia». Ma pareva nome da donna......

ed ecco «Blodio».
Esatto. Con buona pace dei Litfiba.

Ma oggi un loro concerto l'organizzerebbe?
Certo. Tiziano Bordin, storico gestore del Lattepiù Live, mi ha spiegato la differenza fra gusto e business, dove finisce uno e comincia l'altro. Sono grato a Tiziano, fra le figure che mi hanno insegnato qualcosa lungo il percorso. Come Marco Obertini, Paolo Bruno e la Festa di Radio Onda d'Urto: tra i momenti importanti della mia crescita artistica c'è l'aver visto i Motorpsycho nel 1995.

Concerto che ha segnato una generazione di meglio gioventù bresciana.
Sì. Lo stesso discorso direi che vale per i Karate all'Hexò nel 2002.

Le tappe fondamentali come musicista?
I Malamela con Marilou. I Cinemavolta perché avevamo un contratto di un certo livello e giravamo con i Subsonica: il primo tour in produzione in vita mia. Ho scoperto così cosa significa arrivare in una piazza deserta e allestirvi in 8 ore un palco funzionante. Mi ha affascinato l'idea di creare qualcosa che non esiste. Poi voglio citare la band di Paolo Cattaneo, davvero incredibile: avevamo come produttore del disco «Adorami e perdonami» Riccardo Sinigallia, con Maurizio Rinaldi alla chitarra, Emanuele Maniscalco al pianoforte, Fabrizio Saiu alla batteria, Giulio Corini al basso. Erano tutti molto colti, il mio ruolo era portare il pop in mezzo all'accademia. Sono entrato nei Seddy Mellory perché ho prodotto il primo disco e serviva un chitarrista in più, affiancando il mio amico Paul che era come un fratello per me.

The Great Inferno è nato come progetto insieme a Paul.
Sì. Poi il concerto di 2 anni fa in suo onore doveva essere un evento a sé stante, ma era tale l'affiatamento con i musicisti, con Simone Piccinelli, Dario Bertolotti e Ronnie Amighetti, oltre che con Michele Bertoli che avevo conosciuto partecipando al tour «La calma» dei Marydolls... era così forte che abbiamo deciso di andare avanti. Ora esce il disco realizzato nel 2020, ma con Miky siamo già al lavoro per il nuovo album. Il singolo di lancio è previsto in primavera. Canto io, cercando un equilibrio nella voce fra la mia parte maschile e quella femminile.

Gli dei del suo olimpo musicale?
Miles Davis, Jimi Hendrix, Velvet Underground.

Un modello da seguire?
Beppe Facchetti, che mi ha influenzato più di tutti pur essendo lui batterista e io chitarrista. È sempre stato avanti anni luce, non smette mai di cercare, studiare, applicarsi. Mi ha mostrato cos'è la disciplina: essere coriacei, credere nelle cose.

La sua parola chiave?
Progetti. Per questo sono diventato anche produttore e direttore artistico, volendo condividere esperienze anche con le nuove leve. Quando si è presentata l'occasione ho rilevato insieme ad Amighetti lo studio di registrazione a Casa Molloy, realtà a cui sono grato nel suo complesso, regno della Latteria Molloy di cui sono stato fra i fondatori nel 2009. Avevo deciso che volevo organizzare eventi fin da ragazzino: era il 10 settembre 1988, a Modena suonavano Kiss e Maiden ma i miei veci non mi volevano mandare. Decisi che concerti del genere li avrei organizzati io.

Quando ha cominciato?
Nel 2001 insieme a Luca «Malvagio» Scaglia mi son detto «Non ci sono spazi a Brescia? Creiamoli». Ed ecco Arenasonica, festival che è durato 17 anni e ha trasformato il Parco Castelli al punto che su Google Earth tutta l'area adesso si chiama Arenasonica. La rassegna si è come oggettivizzata. Lì, come in Latteria, lo stimolo è stato soprattutto quello di organizzare eventi dal respiro internazionale: per i Battles o per i Dandy Warhols si è mossa gente da lontano. Così si valorizza il patrimonio della città: attirando gente da Londra e dal Brasile, da Istanbul e dalla Scandinavia.

I musicisti che l'hanno colpita di più dal vivo?
Dico due batteristi: Fabrizio Saiu, con cui ho suonato, e Luca Ferrari dei Verdena.

I concerti che è più felice di aver promosso?
Madrugada, Peter Hook, Marlene Kuntz.

Quello che vorrebbe organizzare?
Fugazi. E Karate. I primi in standby, i secondi si sono sciolti... È un doppio sogno.

Dove vorrebbe suonare, invece?
Alla Brixton Academy, direi. Poi sarei a posto.

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