l'intervista della domenica

Paolo Cavagnini «Con l'Ottava nel futuro, la musica è gioco di squadra»

Come una maratona: la musica, la vita.«Alla fine sto facendo quello che ho sempre voluto». Sempre avanti tutta, a volte di rincorsa, immancabilmente di corsa. Paolo Cavagnini rock and run, musicista dagli orizzonti ampi e non a caso presidente di una realtà aperta a nuove sonorità e nuove generazioni come l'Ottava.

«Ormai sono 9 anni: l'impegno e l'entusiasmo sempre gli stessi», dice all'indomani della tappa italiana di Jesper Lindell (il Van Morrison svedese) ospitata sul palco della music hall di via Lunga. Un concerto che ha sancito ufficialmente la ripartenza dell'attività live ricominciata ormai anche per gli allievi. Una rinascita dopo la pandemia, dopo il lockdown, dopo tutto quello che è stato dal 2020 ad oggi: una salita ingrata, una scalata che ha richiesto nervi saldi e preteso abnegazione assoluta.

L'Ottava è ancora qui, viva e scalciante: quanto è stato difficile?
Facile per nessuno, credo. Ma onestamente ci abbiamo sempre creduto e adesso è bello poter aprire la porta al pubblico per eventi come un concerto dal respiro internazionale. L'unico requisito è associarsi: si può fare anche online.

Quanti allievi avete?Abbiamo 150 ragazzi iscritti ai vari corsi, che spaziano da batteria e basso a pianoforte e canto, tastiere, chitarra e ukulele. Partiranno 3 corsi specifici, non curricolari, per 12 incontri da 2 ore; uno sarà tenuto da Simone Boffa, chitarrista e produttore, sull'utilizzo di Ableton dal vivo: ha affinato un metodo efficacissimo. Siamo aperti da sempre a nuove forme di didattica: così si spiega per esempio il corso di beatmaking, per la creazione di basi rap e trap. E un must rimangono le lezioni di home recording di Max Comincini home recording: un corso che ci chiedono sempre.

Novembre è il mese in cui ricomincia tutto?
Sì. Si riparte alla grande su ogni fronte. Avremo anche le feste a tema con i nostri ragazzi che suonano. Venerdì 11 e sabato 19 novembre le prime serate in questo senso con Top of the Pops Italia: faremo una panoramica dei successi degli ultimi 2 anni. L'obiettivo è far vedere ai giovani da dove vengono le cose che ascoltano abitualmente.

Meglio o peggio oggi, i successi da classifica?
Di primo acchito si direbbe peggio ed è l'opinione dominante, più diffusa, ma se dall'ascolto ti sposti all'interpretazione, allo studio, e approfondisci la costruzione di questi pezzi popolari oggi ti accorgi che se funzionano un motivo c'è: nelle pieghe, quando tiri giù gli accordi, scopri dei ganci pazzeschi, fatti per piacere a tanti se non a tutti. La cosa divertente e utile è far capire agli allievi che se per quel riff nel disco di Rkomi sembra esserci una chitarra scordata e l'effetto è irresistibile, beh, i primi a farlo sono stati i Rolling Stones e chi lo rifà oggi questo lo sa, la storia del rock l'ha studiata.E la riutilizza a suo uso e consumo. Di sicuro poter tornare a fare musica insieme, in presenza, renderà tutto più vivo e creativo.Anche per questo vogliamo andare oltre quello che facevamo prima della pandemia, quando le serate erano una acustica e una con band. Adesso venerdì vogliamo far suonare sia gli alunni sia gli insegnanti. Le classi, in questo caso di basso e chitarra, illustrano il tema che si affronta sul palco. Abbiamo preso spunto dall'esperimento fatto l'anno scorso sui

Beatles, a metà fra live e didattica. Io spiegavo l'armonia delle canzoni, nello specifico.Su cosa vi concentrerete adesso?
Faremo modern blues: John Mayall, Joe Bonamassa, ma anche i Black Keys. Aprile invece è il mese delle boy-band, con una serata introduttiva sui fuoriusciti come Robbie Williams e Harry Styles.Un passo, anzi di più, indietro: quando comincia la sua storia d'amore con la musica?Più o meno dalla nascita, direi. Avvenuta a Brescia sul finire degli anni '70: un periodo d'oro.Vero. In casa ascoltavamo di tutto grazie a mio papà, appassionatissimo di musica. Io passavo da Bob Marley a ai Chieftains, mentre mio padre ha variato da Peter Gabriel agli artisti della sua etichetta Real World Records, arrivando fino alla canzone tradizionale del Pakistan. Aveva comprato il pianoforte perché entrasse a far parte dell'arredamento. Ho preso lezioni, ma a 13 anni ho conosciuto la chitarra.

Ed è stato colpo di fulmine?
Assolutamente. Mi è piaciuta subito. Mio cugino Marco suonava, io avevo una predilezione per i cantautori e consumai «Il bandito e il campione» di De Gregori tirato giù gli accordi a orecchio: non c'era YouTube... Quel disco dalla copertina di cartone con l'adesivo sopra è ormai rovinato, da quanto l'ho suonato. Lo tengo per ricordo. Poi mi sono innamorato dei Beatles e li ho suonati a lungo con Alberto Forino. Quindi De André, Fossati, Capossela... Interessato anche al versante acustico, mi sono dedicato anche a quello.

Musicista oppure?
Pensavo di fare il professore di storia, dopo aver finito il liceo linguistico Fermi a Salò. Invece ho frequentato per un anno Farmacia a Padova. Ma suonavo tanto: andavo a lezione da Sandro Gibellini e mi sono appassionato al jazz, da Wes Montgomery a Bill Evans. «Sei preparato, prova a fare l'esame per entrare in Civica a Milano», diceva il mio maestro.E Gibellini non incoraggia a caso.L'ho ascoltato, sono entrato subito e ho trascorso 5 anni splendidi a Milano. Civici corsi di jazz, con la fortuna di avere insegnanti come il grandissimo Franco Cerri, fra le persone più gentili mai conosciute. E non devo nemmeno dire dell'artista che è stato.

Tornato a Brescia?Ho suonato, tanto e di tutto, compreso il liscio con un'orchestra. Ho cominciato anche a insegnare e fra le scuole in cui esercitavo c'era L'Ottava. La prima volta risale a una quindicina d'anni fa.Come avvenne l'ingresso?Attraverso un colloquio con Vittorio Bianchi. All'inizio mi occupavo solo di chitarra, poi sono passato anche ad armonia e ritmica e ho intrapreso collaborazioni che durano tuttora con musicisti come Daniele Gozzetti e Augusta Trebeschi, entrambi docenti qui. Grazie all'Ottava ho conosciuto anche tanti altri musicisti.E da 9 anni è il presidente dell'associazione.La svolta, rispetto alla vita di prima che era essenzialmente suonare e insegnare, è stata quella di assumere una carica che comporta una bella responsabilità. Ero già parte del consiglio direttivo; diventando presidente ho concordato con gli altri componenti che fosse meglio per me smettere d'insegnare. La mia priorità è promuovere i progetti della scuola.

Obiettivi?
Stiamo cercando di costruire nuove collaborazioni, abbiamo vinto bandi della Regione Lombardia, di Fondazione Comunità Bresciana e Comune. Stiamo partecipando ad altri 2-3 bandi e nei prossimi anni il piano di sviluppo è andare oltre la sede fisica dell'Ottava. Per questo stiamo interagendo con altre realtà anche fuori dai confini bresciani. Sono in corso colloqui con altre Amministrazioni comunali.

L'idea di fondo?
Esportare la nostra filosofia d'insegnamento che va oltre la lezione singola. La musica per noi è gioco di squadra, valori che ci accompagnano ogni giorno della nostra vita. È innanzitutto saper ascoltare, perché se ascolti gli altri poi suoni anche meglio. E sai riconoscere il bello. Abbiamo contattato prima del Covid una ricercatrice, Laura Ferreri, neuroscienziata in grado di illustrare i meccanismi di collegamento fra l'apprendimento musicale e l'intelligenza. Speriamo di portarla qui per un incontro: lavora all'Università di Lione, dove ha vinto una cattedra in psicologia cognitiva. La musica stimola aree di pensiero, può migliorare i metodi di studio.

 Anche lo sport aiuta a schiarirsi le idee: sempre più runner?
Ho corso mezze maratone, ad aprile punto alla maratona di Parigi e sogno prima o poi di fare una 100 chilometri. La corsa insegna tanto la pazienza, la perseveranza. Lo dico sempre ai gnari che suonano: la musica è come lo sport, ti alzi e ti alleni, ti alzi e suoni. Più invecchi, più ti devi dar fare.

Quando corre cosa ascolta?
So che pare incredibile, ma quando corro non ascolto nulla. Mi ero fatto una playlist di Beatles, ma mi distraevo e sbagliavo allenamento: la musica mi assorbe.

La band dei sogni?
Dipende dai generi. Nel jazz Art Blakey alla batteria, Ron Carter al contrabbasso, Bill Evans al pianoforte, Wes Montgomery alla chitarra. Con Lee Morgan e John Coltrane ai fiati. Nel rock, invece: Stuart Copeland alla batteria, Nathan East al basso, Sting alla voce e alle chitarre James Taylor e Mark Knopfler, rispettivamente acustica ed elettrica.Con chi avrebbe voluto suonare, potendo scegliere?Johnny Cash. E Fabrizio De André..

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