Marco Biondi

«Radio Rete Azzurra, gli afroraduni e quel palazzo di vetro a Montichiari... Indimenticabili i miei anni bresciani»

di Gian Paolo Laffranchi
Quasi mezzo secolo in onda - Nella storia della radio italiana: Marco Biondi qui è con Zucchero
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Quasi mezzo secolo in onda - Nella storia della radio italiana: Marco Biondi qui è con Zucchero
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Conduttore, presentatore, autore, consulente, docente. Da una vita Marco Biondi è sinonimo di radio in Italia, tanto da aver lasciato tracce indelebili anche nel Bresciano.

Ha iniziato nel 1976. Come?
Non ho mai avuto l’idea di fare questo. Sono stato coinvolto mio malgrado. Aprivano le prime radio, compresa quella del Comune di Soresina dove sono nato e cresciuto: RCL 26. Io avevo 15 anni. Cominciai il 26 novembre. I miei genitori avevano un bar in centro, fu un cliente a chiedermi se m’interessasse farne parte: sapeva che possedevo già tantissimi dischi.

Volevano quelli?
Sì, che li mettessi a disposizione. A me non è che andasse tanto! Ma anche da ragazzo ho sempre avvertito il fascino di ciò che non conosco. Portai i miei dischi più brutti, naturalmente. E ho scoperto un mondo. Al bar ascoltavamo le radio bresciane: Radio Brescia, Radio Punto Nord... Un giorno un dj, Massimo, mise sul piatto «Maria Maddalena» di Antonello Venditti e andai subito a comprarmi l’album «Ullàlla».
Fidanzata di Lonato, quartier generale a Montichiari, Radio Rete Azzurra e serate in consolle a far ballare migliaia di persone: com’è stato quel periodo «afro» nel Bresciano?
Nella vita ho avuto la fortuna e anche l’intuito di arrivare al posto giusto al momento giusto. Era il 1984 quando arrivai a Montichiari Radio Azzurra, radio che trasmetteva musica afro appunto e poi funky, brasiliana, elettronica. Non c’era Internet, sapevo nulla di afro, ma volevo imparare. È da questa radio che nel 1987 mi ha pescato Valerio Gallorini per portarmi a Radio Deejay. Tre anni prima chiamai Fulvio, il proprietario. La radio era nel suo garage di casa, il banchetto regìa stava fra le auto. Io venivo dagli studi professionali di Radio Music Boy, all’inizio ero un po’ spaesato ma c’era un bel clima, avevo 23 anni e tanta fiducia. Con Fulvio ci trasferimmo nel palazzo di vetro di Montichiari: meraviglioso visto dall’esterno, a livello d’immagine spettacolare, ma dentro d’estate era impossibile starci dal caldo, trasmettevamo in pantaloncini e a torso nudo! Grazie a una copertura multiregionale la radio divenne Rete Radio Azzurra e fu un successo. Tre anni entusiasmanti, indimenticabili. Era una radio che spostava la gente, ogni nostra festa o afroraduno che fosse attirava anche 10.000 persone. E ne facevamo in continuazione! Un fenomeno.

Come arrivò in discoteca?
Ho mosso i primi passi nel ’78, a 17 anni, introdotto dal direttore artistico di RCL 26, Walter Spinetta, che era dj resident al Gatto Verde di Soresina. Grazie a lui ho cominciato e piano piano con Rete Radio Azzurra ho girato parecchio nel Bresciano, nel Veronese, nel Mantovano. Allora era pieno di locali e avevamo come guest dj quali Baldelli, Mozart, Rubens e Franceschi che muovevano le folle. Quando sento che Radio Italia raduna 100 mila persone in piazza Duomo a Milano a ingresso gratuito, penso che noi con Radio Azzurra facevamo 3-4 afroraduni al mese pieni zeppi di gente che pagava il biglietto.

Radio Deejay, 105, Rin, Virgin: cosa le hanno lasciato queste esperienze?
Tutte diverse, tutte importanti. Mi sono sempre trovato in mezzo a start-up, a progetti di rinnovamento. Radio Azzurra esplose dopo il mio arrivo, Deejay era ancora locale, 105 stava ringiovanendo e ristrutturando, Radio Italia Network approdava a Milano, iniziava un nuovo percorso. E Virgin l’abbiamo fondata da zero. A Deejay è successo di tutto, mi ha formato, cresciuto, insegnato un lavoro. Sembrava una nazionale della radiofonia: c’erano Linus, Albertino, Jovanotti, Amadeus, Fiorello, Baldini, Roberto Ferrari, Nikki, nascevano gli 883... Una squadra eccezionale. Con 105 sono stato a New York quasi 2 anni, con Rin mi sono buttato sull’house che vivo come una derivazione della disco-music con cui sono nato. «Welcome to the jungle» è stata l’apoteosi: 3 anni da programma di riferimento per il settore in Italia. Quando ha aperto Virgin e sono stato chiamato come direttore musicale, avevo il marchio house addosso: tanti erano perplessi, non ricordavano il mio passato. Sono sempre stato trasversale, negli anni ’90 in radio trasmettevo pop, ma facevo produzioni dance.

Qualcosa come 130 dischi.
Progetti come Mato Grosso, Ava & Stone, Pinocchio. Lavoravo soprattutto con Graziano Pegoraro, ispirandomi a Orb, Orbital, ai Chemical Brothers che spaccano ancora. Facevamo naturalmente a modo nostro.

La produzione che oggi sente più sua?
Mato Grosso è il progetto che è andato meglio e che mi rappresenta di più: Neverland, Jungle, e Mistery mi rispecchiano appieno. Sia io sia Pegoraro eravamo molto affezionati a Psycho Team, che funzionò bene in Inghilterra e in Germania.

L’incontro più emozionante?
Ho incontrato grandi artisti di ogni tipo, da Zucchero a Omar Pedrini. E, per dire degli internazionali, Jon Bon Jovi, ma soprattutto David Bowie e i Genesis: la loro musica ha accompagnato la mia crescita da bambino, ragazzo, uomo. Con Mike Rutherford, storico chitarrista e bassista dei Genesis, feci una gaffe: venne ospite in studio e gli dissi «Mike, sono un tuo fan dai tempi dell’album bla bla, bla bla» e lui mi rispose: «Grazie, ma io in quell’album non c’ero!». Mi emozionai troppo anche con Phil Collins. Con Bowie, il mio preferito da quando avevo 15 anni e ne leggevo su Ciao 2001, invece andò benissimo. «Hunky Dory», comprato per 900 lire, fu una folgorazione. Metterlo sul piatto fu come vedere la Madonna. Perché io amo essere spiazzato, a meno che non ascolti i Ramones e non dia sfogo al mio animo punkettaro. Se ascolto un disco recente di Elton John o Eric Clapton, so già cosa aspettarmi. Con Bowie non era mai così. Anche McCartney non finisce mai di stupirmi. Un genio.
Ora trasmette a Radio Rock, avamposto per eccellenza del genere in Italia: guarda avanti puntando sulle novità.
Sono felice, ho trovato una famiglia. L’avessi trovata prima! Collaboro da un paio d’anni, trasmetto il lunedì mattina dalle 9 alle 10. La radio però non è più la mia attività principale: è Sorry Mom!, agenzia di management composta da musicisti, creativi e professionisti che si prende cura di artisti e gruppi. Un progetto condiviso con Luca Bernardoni: curiamo la parte manageriale di emergenti come i bresciani HiThanks, che sono punk, e MeriSet, più indie. Ho anche preso la consulenza di DeejayFox Radio Station.

La sua idea di radio, oggi?
Libera. Potendo trasmettere rock su larga scala, con un range molto ampio, senza dover per forza passare sempre i soliti nomi, i soliti pezzi.

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