L'INTERVISTA DELLA DOMENICA

Virgilio Sieni: "Brescia e Bergamo vicine grazie alla magia della danza"

di Gian Paolo Laffranchi
Danzatore e coreografo di fama internazionale, classe 1958, fiorentino, studi artistici e di architettura alle spalle, ha consolidato il legame con la nostra città attraverso progetti dal respiro etico e sociale. Ha collaborato con i principali teatri e festival italiani e è stato direttore della Biennale Danza dal 2013 al 2016. Tre volte premio Ubu, è stato nominato Chevalier de l'Ordre des Arts et de Lettres dal ministro della cultura francese
La performance conclusiva di « Agorà. Le città vicine», progetto curato e condotto da Virgilio Sieni, è in programma oggi alle 17 in piazza Loggia REPORTERVirgilio Sieni:  fiorentino, coreografo e danzatore, si è aggiudicato per tre volte il Premio Ubu UMBERTO FAVRETTO
La performance conclusiva di « Agorà. Le città vicine», progetto curato e condotto da Virgilio Sieni, è in programma oggi alle 17 in piazza Loggia REPORTERVirgilio Sieni: fiorentino, coreografo e danzatore, si è aggiudicato per tre volte il Premio Ubu UMBERTO FAVRETTO
La performance conclusiva di « Agorà. Le città vicine», progetto curato e condotto da Virgilio Sieni, è in programma oggi alle 17 in piazza Loggia REPORTERVirgilio Sieni:  fiorentino, coreografo e danzatore, si è aggiudicato per tre volte il Premio Ubu UMBERTO FAVRETTO
La performance conclusiva di « Agorà. Le città vicine», progetto curato e condotto da Virgilio Sieni, è in programma oggi alle 17 in piazza Loggia REPORTERVirgilio Sieni: fiorentino, coreografo e danzatore, si è aggiudicato per tre volte il Premio Ubu UMBERTO FAVRETTO

Ieri a Bergamo, oggi a Brescia. Ieri in piazza Vecchia, oggi (dalle 17) in piazza Loggia. Due performance per un solo progetto condiviso: «Agorà, le città vicine». Mai così unite, per la verità, e la Capitale della cultura diventa in questo caso lo spunto che Virgilio Sieni ha saputo cogliere al volo. Creando un’occasione d’incontro, un motivo di unione, da mettere a terra e rappresentare in centro storico come sulle assi di un palcoscenico a cielo aperto, a prescindere dalle condizioni meteo. Anzi: un clima da tregenda non disturberebbe affatto il coreografo che si è fatto carico di questo impegno comunitario, abbracciandolo assieme alla Fondazione del Teatro Grande e al Festival Danza Estate. Protagonista indiscussa, la cittadinanza che ha partecipato ai laboratori di Gussago, Palazzolo sull’Oglio, Cologne, Brusaporto, Ranica, Collebeato, San Paolo d’Argon e Gorlago. Tutti insieme appassionatamente, artefici di un percorso che vive oggi nella città della Leonessa il suo evento conclusivo. «Più che la chiusura, è l’apertura di un cerchio - osserva Sieni -: gli abitanti di questo territorio che si sono messi in gioco in questo progetto partecipativo hanno intrapreso la strada dell’avvicinamento, dell’ascolto reciproco».

È il progetto che racchiude meglio il significato di questo anno da Capitali della Cultura a braccetto?
Sì, perché riduce le distanze fra le città. Con «Agorà» Brescia e Bergamo sono davvero vicine, unite. Province comprese.

Attraverso la danza, intesa come ascolto del corpo e coinvolgimento delle persone di tutte le età e condizioni: arte a 360 gradi?
Sì. Con una valenza sociale, in questa circostanza specialmente, fondamentale in un territorio che ha subìto la dimensione tragica della fragilità, della debolezza. Il discorso vale a livello mondiale, ma qui in particolare. Le persone che partecipano non sono professionisti. Lo diventano nel momento in cui si mettono in discussione e decidono di spostare qualcosa della loro vita, ponendosi insieme agli altri in un proprio ruolo, con una loro postura, guardando in faccia i loro inciampi. Il valore etico e autentico del progetto: la capacità delle persone di venirsi incontro e creare una vera comunità.

Si consolida il legame con la città, annodato già con le precedenti coreografie, da ultima «La natura delle cose».
Frequento da tanti anni Brescia ormai. Ripenso a volti che sono diventati amici, da una stagione all’altra. C’è un’amicizia che affonda le sue radici in una città dal valore culturale molto alto, che rappresenta una realtà importante a livello italiano e non a caso quest’anno è Capitale della Cultura. Molto spesso lavoro con gruppi di cittadini in tutto il mondo, dalla Bolivia a Bruxelles, ma non mi era mai capitato di portare avanti un progetto articolato e complesso organizzativamente come questo.

Capitale della Cultura: più un traguardo o un punto di partenza per gli anni che verranno? Quando si spegneranno i riflettori cosa resterà, cosa potrà nascere o resistere?
Per fortuna ci sono delle strutture operanti sul territorio da tempo, già da molto prima di quest’anno speciale. Quando finirà quest’anno ci sarà sicuramente un attimo di stand-by, anche di disorientamento: naturale, fisiologico. L’importante è che tutti gli operatori sappiano continuare con perseveranza a coltivare un’opportunità che è un piano di slancio per il futuro. Così non si tornerà indietro, facendo terra bruciata di un’occasione tanto preziosa. Un rischio che qua si può evitare: le persone che hanno partecipato ad «Agorà» sarebbero pronte a proseguire, dando ulteriore forza al loro impegno.

C’è qualche luogo bresciano che ha conosciuto e che apprezza particolarmente?
Girandola a piedi, Brescia offre piccole grandi scoperte passo dopo passo. Chiese stupende, straordinarie. Ma certo che arrivare a piazza della Loggia, con il monumento ai caduti della strage... Mi ci devo fermare tutte le volte, è sempre commovente. Ho fatto un incontro a teatro con i parenti delle vittime ed è nato allora un legame che mi porto dentro, nel profondo del cuore.

Lei ha studiato architettura. Com’è nato il passaggio alla danza classica? Una vocazione innata, una scelta repentina, una decisione maturata nel tempo? 
Non è stato consequenziale, della serie prima studio e poi danzo, no: i due binari sono stati paralleli. Probabilmente per me la danza è stata un approfondimento della geografia emozionale del corpo che doveva trovare una sua dimensione: come il corpo può essere abitante e come lo spazio può dar vita al corpo? L’interesse per l’architettura nasceva anche da queste domande. Tuttora, del resto, collaboro con architetti nei miei progetti. È successo per esempio alla Biennale. Adesso mi ritrovo spesso sul versante della rigenerazione dei territori, degli spazi verdi, delle strutture. Continuo ad elaborare i concetti di architettura e di corpo insieme, contemporaneamente.

Se dovesse spiegare a un bambino cos’è la danza?
La danza è un salto. Qualcosa di magico che gli consente di staccarsi da terra, spiccare il volo. Ed è un gioco: nascondersi, correre, abbracciare. Un gioco e un salto.

Tre volte premio Ubu: la soddisfazione professionale più grande?
Ho appena saputo di aver ricevuto altri due premi: uno accademico, della scuola dell’arte e disegno, e un altro a Firenze, il mercurio, che assegna il Comune. Il premio è sempre quel momento epifanico, bello, che rimane nella memoria e ripaga degli sforzi: quando 10 anni fa fui nominato Chevalier de l’Ordre des Arts et de Lettres dal ministro della cultura francese fu emozionante, decisamente. Ma ci sono tante altre soddisfazioni. Un certo tipo di fama ti porta ad incontri preziosi per la vita, soprattutto.

Il prossimo traguardo qual è?
Al di là dei progetti produttivi in atto che mi intrigano, come «Cecità» dal testo di José Saramago, ho una missione da compiere in Sudamerica che sta vivendo un momento importante, anche sul piano politico. Abbiamo fatto da poco un’esperienza in Bolivia con i gruppi di Guaranì nella zona della foresta tropicale; in estate tornerò in Brasile per girarlo tutto. Favelas comprese.•.

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