L’etologo: «La caccia è un danno serve solo ad ampliare il problema»

Un foraggiatore  illegale per i suidi
Un foraggiatore illegale per i suidi
Un foraggiatore  illegale per i suidi
Un foraggiatore illegale per i suidi

Frequentano le aree antropizzate, naturalmente perché lì non si spara, continuano a lasciare il segno sulle coltivazioni e gli stessi numeri presentati da chi li insegue, con i cani o senza, dicono che anziché diminuire aumentano. Cosa non va nella politica di controllo dei cinghiali? Secondo un tecnico che li studia da tempo, e che sta lavorando a un nuovo filone di ricerca che potrebbe offrire strumenti incruenti per tenere a bada la specie, semplicemente tutto. A spiegare ancora una volta (lo aveva già fatto tempo fa su queste stesse pagine) che le campagne di abbattimento ottengono proprio, e sul breve periodo, la moltiplicazione degli esemplari, è Andrea Mazzatenta, docente di Psicobiologia e psicologia animale della facoltà di Veterinaria di Teramo. «Ovunque in Italia si ricorre alla caccia, e mai sulla base di studi demografici seri - afferma -. Non si disegnano piramidi dell’età dei branchi, non si analizza l’assetto del territorio ma si parte da semplici osservazioni: scientificamente, parlando della gestione del cinghiale siamo fermi al ’700». Perchè gli abbattimenti ottengono l’effetto opposto a quello ufficialmente previsto? «Perché come molte altre specie sottoposte a predazione il cinghiale semplicemente reagisce moltiplicandosi per sfuggire all’estinzione. In condizioni normali - spiega Mazzatenta -, i branchi sono strutture matriarcali guidati da una femmina adulta dominante, la sola a riprodursi col maschio dominante del territorio. Il risultato è una prole non abbondante e proporzionata alle risorse dell’area. Se però il gruppo viene braccato e preso a fucilate, le prime a soccombere sono proprio le femmine dominanti e i maschi alfa, il gruppo si frammenta e i giovani, femmine e maschi, avviano un ciclo riproduttivo serrato, e proprio la giovane età dei riproduttori porta a figliate più numerose, anche di una dozzina di cuccioli». Cuccioli che, pur avendo poche settimane di vita, si incontrano anche in autunno: nel Bresciano c’è stata più di una segnalazione, una delle quali, risalente a ottobre, relativa ai dintorni di un sito illegale di pastura (ebbene sì, ci sono anche questi) con tanto di distributore automatico di granaglie sospeso sui rami (l’immagine, scattata in Valsabbia, è a corredo di questo servizio), parlava di esemplari col mantello ancora striato in autunno. «Proprio queste cucciolate tardive dimostrano che le femmine sono pressate e perennemente in calore - sottolinea l’esperto -. Normalmente il cinghiale figlia solo in primavera». Una soluzione possibile? «Non esiste una panacea e servono tempo e coraggio. Innanzitutto ricorrendo ai metodi ecologici suggeriti dall’Ispra che tutti citano e nessuno usa, recinzioni elettrificate e dissuasori acustici e luminosi in testa. Poi bisognerebbe avere la volontà di fare un esperimento - continua Mazzatenta -. Bisognerebbe individuare un territorio adeguato in cui si incrociano spazi di protezione, aree aperte alla caccia e zone abitate e creare qui una zona cuscinetto con piccole coltivazioni a perdere. Poi la sospensione della caccia per un determinato periodo dovrebbe accompagnarsi alla tutela dei predatori naturali, lupo in testa. Una prova del genere potrebbe aprire nuovi scenari di riequilibrio e convivenza possibile». Nel frattempo, Mazzatenta sta, dicevamo, seguendo anche una nuova strada scientifica: quella dei feromoni. Col supporto di un gruppo di chimici delle Università di Chieti e di Torino, e nell’ambito di un progetto ufficiale dell’ateneo di Teramo, sta cercando di campionare questi impercettibili e ancestrali strumenti di comunicazione chimica («per inciso - sottolinea - uno dei composti prodotti da cinghiali e maiali è identico a un feromone umano») per capire come usarli anche nella gestione dei cinghiali: uno scenario possibile è quello dell’uso di richiami chimici femminili per spostare i maschi da un determinato territorio; o viceversa. Un’ultima domanda sulla peste suina. La caccia non è uno strumento di diffusione? «Certamente sì - risponde Mazzatenta -, in questa fase le popolazioni dovrebbero poter essere stanziali, senza dover fuggire continuamente dalle braccate. Inoltre c’è la stranezza dei focolai rilevati in Piemonte e Liguria: arrivando dall’Est, l’epidemia avrebbe dovuto essere registrata prima in Friuli e in Veneto, Evidentemente - commercio illegale di carni infette o introduzioni altrettanto illecite di cinghiali malati - le cause sono altre».•. P.Bal.

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