Quei frammenti
rubati e un mitico
Capodanno

di Irene Panighetti
Stefano Mori e il gruppo di amici trent’anni fa in trasferta a Berlino
Stefano Mori e il gruppo di amici trent’anni fa in trasferta a Berlino
Stefano Mori e il gruppo di amici trent’anni fa in trasferta a Berlino
Stefano Mori e il gruppo di amici trent’anni fa in trasferta a Berlino

«1989 oder ein Moment Schönheit. 1989 o un momento di bellezza. Il 9 novembre 1989 si sbriciolava il muro di Berlino e il 3 ottobre 1990 la Ddr viene cancellata dalla carta geografica dell’Europa. La ruota delle storia ha ripreso a girare; ora tutti gli scenari, gli incubi, ma anche le utopie sono possibili. È l’anno zero della sempre più turbolenta Europa», scrisse Guido Puletti nel 1991 sul libro fotografico di Gian Butturini «C’era una volta il muro». Puletti, giornalista argentino, bresciano di adozione e internazionalista per valori, fu assassinato in Bosnia il 29 maggio 1993 con Sergio Lana e Fabio Moreni: da lui nessun racconto diretto è più possibile, e lo stesso vale per Sancho Santoni, altro intellettuale bresciano prematuramente scomparso e che andò a Berlino per il Capodanno 1990 insieme a 4 amici, tra cui Stefano Mori che ora ha narrato quell’avventura. Altri tuttavia ci hanno donato i loro ricordi: parole, emozioni ancora vive e poche immagini perché allora il meccanismo dell’informazione era altro rispetto ad oggi, senza cellulari, connessioni Wi-fi, fotografie. Le notizie si diffondevano via radio, tv e giornali e spesso le si apprendeva giorni dopo il loro accadimento. È anche per questo ciò che iniziò quel 9 novembre 1989 sorprese un po’ tutti.


LO CONFERMA lo scrittore-fotografo bresciano Italo Bonera, che si recò a Berlino con amici nel giugno 1989 : «Non avevamo nessun sentore di quello che sarebbe successo solo pochi mesi dopo. A Berlino, dal Reichstag, risalimmo il muro verso sud e poi verso est. Era ricoperto da graffiti, era solido e fisico, in cemento armato. Ci siamo detti: ma quando mai cadrà, è impossibile. Dietro al Reichstag c’era una recinzione inutile che lo separava dal muro. Sulla recinzione, in una lunghissima fila, erano appese le croci con i nomi dei caduti durante i tentativi di attraversare il muro, con la data della morte. Ci colpì l’ultima, quella di Chris Geoffroy: risaliva solo a pochi mesi prima». Elena Pivato e l’allora fidanzato (oggi marito) Stefano Ronchi erano a Berlino una settimana prima dell’inizio dell’abbattimento e lasciarono la città l’8 novembre: «Eravamo universitari in vacanza, partiti con una Renault 4. Visitammo Berlino in entrambe le sue parti, non notammo segni di rivolta e solo tornado a casa, accendendo la tv il 9 sera, ci rendemmo conto di ciò che stava succedendo e ci siamo un po’ mangiati le mani… per un giorno solo abbiamo mancato quell’avvenimento!». Ronchi rievoca la «tensione del viaggio, il timore di essere fermati dalla polizia – ma soprattutto – la tristezza di Berlino est: il muro, nella sua bruttezza, era in sé affascinante. Oggi Berlino è una metropoli come tante altre, ha perso quell’atmosfera che magari era anche maledetta ma era unica».


ALTRI BRESCIANI invece andarono a Berlino per trascorrere il Capodanno: «Partimmo in 5 su un furgone Volkswagen, convinti di non trovare posto per dormire perché correvano voci che tutti volessero festeggiare quella fine anno a Berlino – racconta Stefano Mori –. Invece non ci fu problema, l’efficienza teutonica si confermò in pieno. Andammo anche nella parte est: provenendo da ovest si passava dalla luce al buio...fu triste. La sera dell’ultimo dell’anno eravamo sotto la porta di Brandeburgo insieme a migliaia di persone che brindavano ma anche che picconavano il muro, ne prendevano un pezzo e poi continuavano con la festa. Pure io presi a sprangate il muro e mi portai a casa un frammento che conservo ancora, ma forse faccio male, chissà se c’è dell’amianto...Non sono più tornato a Berlino da allora». Anche il giornalista Paolo Barbieri, che ha scritto anche per Bresciaoggi, si recò a Berlino per il Capodanno, non con intenzioni vacanziere ma con atteggiamento da cronista: «In quella città si stava scrivendo la storia e volevo vedere in diretta la gioia della gente per capire meglio ciò che analisti, storici, politici tentavano di spiegare ciò che noi giornalisti raccontavamo sui giornali e in televisione. Indimenticabile fu così la notte di Capodanno: la trascorsi, nonostante il freddo, alla Porta di Brandeburgo. Il muro era ancora in piedi, l’unico varco aperto (una ventina di metri), abbattuto dai cittadini, era proprio lì. Vennero sparati migliaia di fuochi d’artificio, il cielo non più diviso era illuminato a giorno. Anch’io presi il piccone di un ragazzino turco e assestai un paio di colpi al muro che si sgretolò. Un frammento colorato lo conservo su una libreria dello studio di casa». Barbieri tornò a Berlino nel settembre 1990 per lavoro: «Il muro era scomparso e agli angoli delle strade bambini turchi vendevano pezzi di cemento che avevano colorato e che garantivano fossero autentici. Ovviamente non era così, erano taroccati ma i turisti erano contenti di spendere qualche marco per avere il cimelio. Penso a quelle picconate e a quel crollo e sono convinto che a distanza di trent’anni – vista la crisi economica, le disuguaglianze sempre più grandi, le guerre, il razzismo e in alcuni paesi l’ingrossarsi di partiti che non nascondono simpatie per il fascismo e il nazismo – sono molti i muri che dovrebbero ancora essere abbattuti. Il comunismo sovietico è morto ma il liberalismo non ha certamente migliorato le condizioni sociali delle persone, anzi...».

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