«Commessi dell’anno
Dipendenti? No, famiglia»

di Marta Giansanti
Silvio Mané e Paolo Vacchiano del negozio «Kilto»Ornella Grandi della «Sartoria Rossi»Marco Ilario Nobis del negozio «NOVE25»Alberto Nevola del bar «Tostato» con la sua copia di Bresciaoggi
Silvio Mané e Paolo Vacchiano del negozio «Kilto»Ornella Grandi della «Sartoria Rossi»Marco Ilario Nobis del negozio «NOVE25»Alberto Nevola del bar «Tostato» con la sua copia di Bresciaoggi
Silvio Mané e Paolo Vacchiano del negozio «Kilto»Ornella Grandi della «Sartoria Rossi»Marco Ilario Nobis del negozio «NOVE25»Alberto Nevola del bar «Tostato» con la sua copia di Bresciaoggi
Silvio Mané e Paolo Vacchiano del negozio «Kilto»Ornella Grandi della «Sartoria Rossi»Marco Ilario Nobis del negozio «NOVE25»Alberto Nevola del bar «Tostato» con la sua copia di Bresciaoggi

Non c’è alcun dubbio: i commessi sono un valore aggiunto per l’attività commerciale. E il loro biglietto da visita è il primo e fondamentale approccio con il cliente. Ma soprattutto, sono parte integrante di una famiglia allargata. Un legame, quello con il titolare, che si fortifica nel tempo fino ad andare ben oltre il rapporto puramente professionale. NE SONO convinti i «capi» delle attività nel centro storico, i primi a sponsorizzare orgogliosamente il proprio personale per il titolo di «Commesso dell’anno». Una visione amplificata e ancor più netta nei cosiddetti negozi di vicinato, nelle piccole botteghe incastonate tra le bellezze architettoniche del cuore di Brescia. «Quello che si crea tra il collaboratore e il titolare è un rapporto a dir poco familiare, dopotutto vivendo quotidianamente a stretto contatto è quasi inevitabile, un sentimento di affetto reciproco indispensabile» ha sottolineato Silvio Mané, proprietario insieme a Paolo Vacchiano di Kilto abbigliamento, in via X Giornate. Una squadra formata da due soci e quattro dipendenti, alcuni da oltre 15 anni. «Un tempo talmente lungo che porta a volersi bene, proprio come in una famiglia, e che ha guidato la fidelizzazione di una vasta clientela», ha aggiunto. Un negozio da oltre venti anni sulla cresta dell’onda e ben diverso dai marchi in franchising: «Qui c’è molta più flessibilità, non si pensa solo al fatturato, nonostante ci siano obiettivi da raggiungere e un mercato, in evoluzione, che non possiamo ignorare». Un cambiamento che ha arrecato danni a molte piccole realtà, schiacciate dalla potenze dei marchi internazionali, capaci di vendere prodotti a prezzi irrisori e, spesso, di scarsa qualità. Oppure, cosa più recente, dalla forza prepotente dell’e-commerce. «Ma – ne è certo Marco Ilario Nobis, responsabile di NOVE25, il nuovo negozio di anelli e gioielli in argento di corso Zanardelli – l’importanza del calore umano, del consiglio e dello scambio di opinioni non morirà mai». Lui, Marco Ilario, non ha saltato nemmeno uno step nella crescita formativa passando da magazziniere a commesso e infine a store manager (prassi frequente) e non esita nemmeno un momento a elogiare la figura del collaboratore. «Un lavoro che, fin dal principio, ha scelto me ed insieme siamo cresciuti – ha raccontato -. Un percorso che mi è stato molto utile perché ora posso dare molto non solo all’attività ma anche ai commessi, elemento vitale per questo mondo: posso mettermi nei loro panni, perché li ho vestiti, insieme a loro mi sporco le mani lavorando e cerco di mantenere un ambiente sereno, disteso, di confronto e di dialogo. In ogni caso sono indispensabili la forza di volontà, il sacrificio, ma soprattutto l’attitudine: molte persone non tornano solo per il brand ma anche per i dipendenti». UN PENSIERO condiviso anche da Alberto Nevola, titolare di «Tostato», caffetteria di via Fratelli Porcellaga. «Posso avere il prodotto più buono del mondo, il locale più glamour del momento: tutto inutile se all’interno il cliente non viene accolto nel giusto modo. È il barista a sviluppare il vero core business del locale. Ma c’è un problema – ha aggiunto Alberto – è molto difficile trovare personale già formato. Sono tanti i ragazzi che lo fanno solo per necessità e non per passione, un approccio sbagliato e si avverte». Per Ornella Grandi, responsabile di Sartoria Rossi di corso Palestro invece il vero problema risiede «nella scarsa propensione dei giovani commessi a fare qualche sforzo in più. Molti lavorano ma impostano da subito grossi limiti - ha ribadito -. Anni fa anche io ero una commessa ma ho dato tanto e sono stata premiata». • © RIPRODUZIONE RISERVATA

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