l'intervista

Andrea Perego: «Desenzano, Sydney, Venezia, Berlino Dal giornalismo al romanzo storico la mia vita col gusto di raccontare»

di Gian Paolo Laffranchi
Da giornalista a scrittore, da gardesano a italo-australiano. Il romanzo storico è la sua cifra («Il gentiluomo», edito da Supernova, risale a un anno fa); il suo curriculum, un passaporto senza confini
Ricercatore Andrea Perego è cresciuto e ha studiato a Desenzano. Italo-australiano, ora vive e lavora a Berlino
Ricercatore Andrea Perego è cresciuto e ha studiato a Desenzano. Italo-australiano, ora vive e lavora a Berlino
Ricercatore Andrea Perego è cresciuto e ha studiato a Desenzano. Italo-australiano, ora vive e lavora a Berlino
Ricercatore Andrea Perego è cresciuto e ha studiato a Desenzano. Italo-australiano, ora vive e lavora a Berlino

Andrea Perego gioca a scacchi tutti i giorni. «Almeno una partita, al computer». Gioca su più tavoli da sempre: Desenzano, Sydney, Venezia, Berlino. Senza smentirsi, semmai evolvendosi: da giornalista a scrittore, da gardesano a italo-australiano. Il romanzo storico è la sua cifra («Il gentiluomo», edito da Supernova, risale a un anno fa); il suo curriculum, un passaporto senza confini.

Se il suo vissuto fosse una torta?

Desenzano da cui provengo sarebbe una fetta di torta della nonna, anche un po' secca, mentre Berlino è il mio presente, dolce e fresco.

Dovesse definire Berlino?

Non è Germania, è Berlino: una magnifica bolla fuori dal mondo, la grande città nata da tanti quartieri. Mi sono stabilito qui dal 2017. Prima ero a Venezia, per un po' mi sono diviso fra un posto e l'altro. Una città faceva da contraltare all'altra, perché dove finisce Venezia comincia Berlino. Adesso che non sto più in laguna mi manca, tutto quel '700.

Ripensando agli anni gardesani?

Ero giovane. Ho fatto tante cose, nel bene e nel male. Ricordo la spensieratezza di prendere il motorino e andare in giro per il lago. Gli anni del liceo, indimenticabili. Ma non torno a Desenzano da tanto tempo.

Quando cominciò a scrivere.

Iniziai a fare cronaca, scrivendo proprio su Bresciaoggi. Andavo con me un quadernetto, preparavo articoli, calcolavo coi quadretti la mia cartella e mezza e dettavo ai dimafonisti. Parliamo del '93, '94, '95. Allora feci l'intervista ad Aldo Busi che mi aprì le porte dell'Indipendente, approdando al giornalismo nazionale.

Difficile intervistare davvero Aldo Busi, fra i maggiori scrittori europei, personalità forte di casa a Montichiari.

Doveva essere una cosa breve, è durata più di un'ora. Busi è un fiume in piena, ne ha di cose da dire. Passati tanti anni, l'attualità del suo pensiero resta valida. L'ho intervistato anche per una trasmissione radiofonica.

In Australia ha lavorato per Sbs Radio, facendosi notare con servizi di ampio respiro.

Un'ottima occasione, entrare in quella radio statale. A Sydney mi sono fermato 5 anni. Mi sono divertito e formato al tempo stesso, continuando a scrivere.

Differenze fra i media?

Per un giornale devi attenerti a norme redazionali, agli spazi del quotidiano che ha le sue esigenze, devi anche scrivere di argomenti che ti interessano meno. Per i libri, assoluta libertà: scrivo quello che mi pare. Imparare a fare articoli mi è servito, la disciplina del giornalista per il mio lavoro di ricerca storica è stata fondamentale. Sono anche archivista, ho fatto giornalismo storico per esempio con «Barbara - Un affare di Stato», approfondendo fonti e documenti.

Ha lavorato per Filippi Editore come curatore di una collana a soggetto veneziano. Per «Le nozze di Cana» di Peter Greenaway, nella versione italiana, come voce di Cristo. La sua prima raccolta di novelle in italiano, «Racconti in cornice», è stata pubblicata da Supernova nel 2014 e in inglese nel 2015, in formato tascabile e Kindle per la distribuzione mondiale tramite Amazon. Poi i romanzi: «Le leggi del tempo», «Casanova a Berlino», «Barbara» e «Il gentiluomo». Numerosi e differenti versanti. Cosa le piace di più?

Il mio ideale è fare un reportage dal '700. Il giornalismo è un mestiere affascinante, se fatto bene. Ti dà una dirittura, una linea su quello che devi fare. Ma le maggiori soddisfazioni le ho avute dai romanzi storici che ho scritto, libero da schemi e da dettami, indagando nel passato sulla base di fatti, aggiungendo elementi di fantasia a dati e situazioni collocati in una cornice vera.

Quando pensa in che lingua pensa: italiano, inglese o tedesco?

Ho una torre di Babele dentro me. Quando faccio ricerca spesso m'imbatto in testi scritti in francese, quindi... Penso principalmente in italiano, ma spesso le espressioni si sovrappongono, a seconda di quali siano le più adatte nelle diverse lingue.

La ricerca è diventata più facile grazie a Internet?

Online trovi di tutto, ma quando vai per archivi non è cambiato nulla: devi cercare, sfogliare, leggere vecchie carte sperando di trovare qualcosa d'interessante.

Più facile all'estero che in Italia o complicato ovunque alla stessa maniera?

Non c'è niente di complicato perché quando una cosa ti piace e ti entusiasma, anche la complicazione diventa bella. In Italia sul piano archivistico siamo avanti, all'avanguardia, bene organizzati. Più dei fondi può la tradizione: gli archivi sono ordinati e ben curati. A Berlino va peggio, decisamente: l'archivio prussiano è stato riunificato solo negli anni '90 e non per intero, il materiale di consultazione è ancora ottocentesco, gli inventari sono scritti in gotico peraltro. Se non ci fossero assistenti di sala ben disposti, nessuno potrebbe venirne a capo.

È vero che all'estero l'interesse per la lettura, per la ricerca, è maggiore rispetto all'Italia?

C'è gente abituata ad ascoltare musica e leggere fin dalla più tenera età, sì. Viaggiando sui mezzi a Berlino si vedono persone con un libro in mano, trovi sempre una libreria in ogni zona della città. Così i negozi di dischi.

Cosa sta facendo ora?

Sto covando un nuovo romanzo storico, genere letterario che è un po' la mia tazza di tè. Il lavoro che devo fare mi appassiona. Sarà una sorta di thriller, di mystery, ambientato nell'800. Sto facendo ricerche sui personaggi coinvolti. Piegherò la trama alla storia: mica si può fare il contrario.

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