il personaggio

Massimo Adiansi: «Architerror sempre più senza confini: i post su Instagram, in futuro i video... Studiamo il brutto per capire il bello»

di Gian Paolo Laffranchi
Intervista all'anima e artefice di questo progetto sottotitolato "The dark side of architecture"

Cinquantasettemila follower su Instagram, 120 mila su Facebook (esiste ancora, sì). E un film in arrivo. O no? «Mai dire mai, The best plan is no plan: Architerror è un perenne work in progress, difficile cristallizzare la sua valenza dadaista e dissacratoria su carta - sorride Massimo Adiansi, anima e artefice di questo progetto sottotitolato "The dark side of architecture" -. L'idea di ampliare il format foto più commento comunque c'è». Potrebbe diventare una performance in una galleria d'arte, un inserto di una rivista o chissà; al momento «in previsione ci sono dei video. Qualcosa di più? Si vedrà, ci ragioniamo. Non ci poniamo limiti. Di certo aprirò un canale YouTube».

Pagina popolarissima fondata da un architetto bresciano vissuto a Londra che ha saputo trasformare un gioco fra amici (così nacque nel 2012) in uno sguardo nuovo, di sicuro è qualcosa di completamente diverso. Un'idea pazza, sintetizzabile in una semplice domanda: «Ci sono molti siti di architettura bella: perché nessuno parla delle cose brutte?».

La risposta di Adiansi è risultata, nei fatti, irresistibile. Non una pagina solo per addetti ai lavori, anche se di edilizia si parla con post corredati da scatti surreali e commenti brillanti. Ironia senza confini, tanto che Cosmopolitan già nel 2020 l'aveva segnalato tra le 10 pagine di Instagram da tenere d'occhio. Fra i picchi del sarcasmometro: il «tempio paleomarchigiano di epoca precompressa» (realizzato secondo stilemi greci ma con cemento armato), a Rezzato il «monumento al guidatore distratto» (con un'auto «intenta a planare dopo aver lasciato semiassi e ruote sul cordolo») e a Benevento la scultura dedicata a Padre Pio ribattezzata «Pio robot d'acciaio» (le sue armi? «Stimmate perforanti, omelia narcolettica e rosario infinito»).

In principio fu Facebook?

Sì. Sodali, colleghi, architetture bizzarre. Invece di fare il fantacalcio, divertiamoci in un altro modo.

Ritraendo un altro mondo.

Eravamo un gruppo privato all'inizio: si commentava, si rideva. Ho aperto la pagina 6-7 anni dopo perché volevo scremare, i post si moltiplicavano. Da lì è stata un'esplosione, anche perché nel frattempo è subentrato anche Instagram. Fra un'intervista di qui e una pubblicazione di là il boom non si è più fermato.


Architerror è finito anche sul piccolo schermo: da Propaganda Live alla tv spagnola.


Tutto a mia insaputa, peraltro. Non ho cercato nessuno io, hanno fatto tutto da soli. Cresci cresci, ogni tanto mi chiamano: tre settimane fa ho fatto una lectio magistralis a Venezia, sabato sarà inaugurata una mostra sul kitsch al Ma.Co.f di Brescia e Architerror sarà presente con una sezione sull'architettura.

È stato come gettare un sasso in uno stagno?


Sì. Di pagine che parlano di design bello ce n'erano tante, ma nessuno aveva mai affrontato il brutto. Con leggerezza e ironia: non siamo una pagina di hater, ma un riferimento alternativo per l'architettura.

La grande bruttezza più della grande bellezza.


Per Paul Valery «il buon gusto altro non è che il risultato di una sovrapposizione nel tempo di innumerevoli cattivi gusti». Per conoscere il bello, comunque, devi vedere anche il brutto. Tanta gente non è educata alla bellezza in architettura: non è educata a farlo, per questo si ferma nella comfort zone delle creazioni più classiche, tradizionali.

L'Italia com'è messa?


Sempre un po' ferma, dal punto di vista dell'architettura. Come dice un famoso critico, Luigi Prestinenza Puglisi, agli italiani piace tanto il presepe: amiamo rifare le cose finte, se dobbiamo costruire qualcosa di nuovo preferiamo assomigli a un finto vecchio. Il finto rinascimentale, il finto medievale, il finto di qui e il finto di là. Tutto perfetto, ma così non vai avanti. Lo studio del brutto ha una sua valenza. Per questo dico che conoscere gli errori architettonici aiuta a capire qual è il bello su cui lavorare. Non sempre l'innovazione è peggio del classico.

Cinque anni in Inghilterra: cosa le ha lasciato questa esperienza?


È stata molto formativa. Ho conosciuto un modo di lavorare completamente diverso, un approccio angloamericano che nel mio lavoro si applica ovunque. È un mondo più specializzato rispetto al nostro: da noi devi saper fare tutto, lì designer e project manager si dedicano ognuno al proprio ambito specifico. Un metodo più rigido, in cui le modifiche sono complicate: ci sono pro e contro dunque, perché noi siamo più elastici e creativi.

Il format, foto più commento, fa il verso alla critica architettonica delle riviste specialistiche. E da tempo ormai è un'opera d'ingegno collettiva.


Sì, una comunità partecipativa: adesso le immagini arrivano da follower che sono ovunque, anche all'estero. Fanno critiche ironiche ma costruttive perché le storture non hanno mai un solo genitore, tanti gli aspetti da considerare: dagli uffici tecnici agli investitori.



Da bambino s'immaginava occuparsi di architettura e dintorni? Si divertiva con le costruzioni?


Ho sempre provato interesse per edifici e città. Sono nato con la matita in mano, disegnando grattacieli. E Lego forever: costruivo qualunque cosa, il mio imprinting viene da lì. A scuola non prendevo appunti, disegnavo.

Che cosa?


Caricature, dei professori ovviamente: alcune sono sul mio profilo Facebook. Mi divertivo a inventare le città, facevo urbanistica: terreni con tutte le curve di livello, case, aeroporto, stadio, palazzo del governo... Ne facevo a migliaia. E provavo a costruirli coi mattoncini Lego, che mi piacciono anche adesso.

Cosa fa, adesso, per lavoro?


Sono tornato dall'Inghilterra un paio d'anni fa. Seguo vari progetti che mi danno soddisfazioni: ho completato il rifacimento della Ivar di Prevalle, sto ristrutturando un palazzo in piazza Tebaldo Brusato e una villa in Panoramica.

Sul sito del suo studio da professionista ha scritto «We make every space your home». Cosa intende dire?


Significa che casa tua è dove ti senti a tuo agio. Nella foto in apertura del mio sito Internet sono seduto comodamente su un divano che ho trovato per strada a Londra: qualsiasi spazio può essere trasformato in un luogo accogliente.

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