L'INCONTRO DELLA DOMENICA

Paola Peroni: «Dal Sestino Beach al mio nuovo brano amo unire le generazioni con la musica»

di Gian Paolo Laffranchi
L’8 marzo la release mondiale del remix di «Like a Butterfly»: «Vorrei ci fossero più donne competenti in pista nel mio settore, soprattutto nella produzione»
Su più fronti È imprenditrice, autrice, produttrice, disc jockey
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Su più fronti È imprenditrice, autrice, produttrice, disc jockey

Pioniera. «What else?» Non c’è altro modo, no, per definire Paola Peroni. Dj, producer, antesignana di un mestiere che oggi è Peggy Gou e mille altre star, ma un tempo era tutto fuorché femmina. E invece.

Gli studi al pianoforte, il primo ingaggio da disc jockey giovanissima al mitico Genux (1991). Da Dj Groovy a BaconPopper, produttrice di successo con tanto di hit internazionale («Free»). Le collaborazioni con Zucchero e Gigi D’Agostino, la nascita di un’azienda sua, Intercool Edizioni Musicali (1998). Media Records e Radio Studio Più, la docenza per giovani talenti e i set in ogni dove, dal lago di Garda con il Sestino Beach (dove giusto ieri sera ha inaugurato la nuova stagione) allo Chalet Spinale di Madonna di Campiglio. Club, piste, arene e dischi: il prossimo uscirà venerdì.

Ha scelto l’8 marzo per la release mondiale del remix di «Like a Butterfly». «È un progetto tutto al femminile - racconta -, nato l’anno scorso con il mio pseudonimo BaconPopper. Poi ho ascoltato il suggerimento dei partner tedeschi: «Perché non affianchi il tuo nome vero? Sfruttiamo bene il lancio a livello di marketing”. E così ho fatto».

Un ritorno fragoroso...
Il suono è ispirato al mood che di solito propongo nei djset più club. Ha una bella energia. E ho scelto Butterfly perché amo le farfalle: i colori, il volo, soprattutto amo l’idea della metamorfosi che rispecchia un po’ quello che è una produzione musicale in sé. E un pezzo suonato in radio, o da altri dj, poi diventa un’altra cosa. Lo senti e lo vedi volare.

Perché l’8 marzo, Festa della Donna?
Perché vorrei ci fossero più donne competenti in pista nel mio settore, soprattutto nella produzione. Con l’avvento del digitale è diventato tutto più facile e piccoli talenti possono diventare grandi rapidamente. In rete, se si ha pazienza, si trova di tutto e si può studiare a lungo come fare un suono, come affinarlo. E si può fare da soli, mentre prima servivano un corso di formazione e un gioco di squadra con tante persone coinvolte.

Viva il digitale?
Sì: il digitale non affossa la creatività, semmai la esalta. Un’arma a doppio taglio per il business nel nostro settore, perché tanti cercano cose illegalmente che si possono usare al volo e ci sono troppi improvvisati, ma al tempo stesso puoi partire da zero, senza tanti mezzi, e creare qualcosa, se hai delle idee e voglia di fare.

Quant’è cambiato il mestiere di dj?
Parecchio. Si facevano sacrifici per acquistare vinili, costavano 8 mila lire e non andavo al cinema, non uscivo con le amiche per risparmiare e comprare dischi. Peraltro ero una rarità: di ragazze nel settore allora ce n’erano pochissime, dovevi dimostrare di avere un valore. Ricordavo le prime volte al Sud, ridevano all’inizio e si scusavano poi: «Non sapevamo ci sapessi fare così». Noi della vecchia scuola adesso siamo un po’ penalizzati, una volta non potevano esserci pr e tronisti in consolle a «fare i dj». La concorrenza è aumentata a discapito della preparazione. Ma la professionalità alla fine paga.

Oggi essere donna non è più tanto penalizzante.
No, ci sono in giro tante colleghe che stimo. Ma c’è ancora tanta strada fare.

Cosa usa per suonare?
Non utilizzo i computer ma i lettori Cdj, preferisco mettere a tempo io, senza aiuti. La vera rivoluzione è stata il mastertempo con cui si può velocizzare a 120 bpm un pezzo anni ‘80 che girava a 105 aggiungendo una nuova base, un nuovo groove: un’innovazione che, se hai conoscenza e fantasia, ti consente di fare cose fantastiche. Dai emozioni al pubblico, qualcosa di vivo, la gente lo percepisce e ti ringrazia con la sua energia. Il bello del nostro lavoro. Ci sono i «mettimusica» e i direttori d’orchestra: questo possiamo essere noi dj. Uniamo più elementi e facciamo un concerto a modo nostro. A modo nostro suoniamo anche noi: serve una tecnica, ci sono delle regole, ci vuole talento. Bisogna studiare. Poi c’è il fattore X e quello non può dartelo nessuno, se non ce l’hai. In fondo si deve anche uscire dagli schemi, dopo averli studiati naturalmente, per fare davvero la differenza.

Trucchi del mestiere? 
Vedere per credere. Non bisogna essere gelosi dei propri segreti. Anch'io stavo ore e ore a guardare gli altri dj per carpirne i metodi. Nessuno nasce imparato.

È ripartita la stagione del Sestino Beach, con lei in consolle.
Ritornare è stato quasi casuale: mi sono trovato a una serata di un'amica, ho ripreso la collaborazione con Puccio e Jerry e ho ritrovato in loro l'entusiasmo di un tempo. Gestori che sanno cosa vuol dire fare un locale. Puccio ha fatto la storia, Jerry è il mio idolo, gli faccio anche da supporto in alcuni dei suoi show itineranti. Yudi Bueno, la moglie di Puccio, è decisiva nell'organizzazione. Un traguardo per me, il Sestino Beach: sono vicina a casa, in un bell'ambiente, con una clientela in media dai 30 ai 60 anni. Ogni serata è diversa dalle altre. Posso stupire la gente, mettere la Cavalcata delle Valchirie se mi va. Dipende dalla serata. Quest'anno farò tutti i sabati, due orette dopo le cene-spettacolo. Ma ho anche impegni con la radio e altri eventi, a Campiglio come in Salento, un po' dappertutto. Oltre alle produzioni. Non mi spaventa il superlavoro: se hai un team che ti capisce e con cui c'è scambio, tutto funziona.

Il pezzo che ha più voglia di mettere in un suo djset?
Amo attualizzare il passato. Mi piace molto l'afrohouse e mi è capitato di suonare in questa versione «The wall» dei Pink Floyd: la storia della musica reinventata, con quelle percussioni e quel mood... Quando l'ho suonata a duemila metri e ho visto ragazzini presi dal groove esattamente come persone più colte dal punto di vista musicale, è stato meraviglioso. Bello unire le generazioni. I giovanissimi del resto, impazziscono per «Maledetta primavera» e «Sarà perché ti amo».

Le è piaciuto l'ultimo Festival con tanta cassa dritta?
Sono contentissima: finalmente i giovani si sono avvicinati a Sanremo. Ci sono pezzi suonabili con arrangiamenti internazionali e belle melodie che a livello dance funzionano. «Italo Disco» dei Kolors l'anno scorso è andata in mezzo mondo, il genere che abbiamo creato noi italiani torna a spopolare. Alla faccia di chi mi accusava di essere troppo anni '80! Ho appena terminato una mia canzone, «See you tonight», vestendo una melodia sbarazzina molto eighties; gira a 104 bpm, farò anche una versione più veloce. Ho una proposta di licenza estera, ma ho una mia label: devo decidere come farla uscire. Sarà hit? Non sarà hit? In ogni caso mi viene dal cuore.

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