Gabriele Lumachi

«Gli scacchi ti cambiano la vita Il talento conta ma l’applicazione di più Il mio sogno è andare alle Olimpiadi»

di Gian Paolo Laffranchi
Vent’anni Gabriele Lumachi con i suoi scacchi nella redazione di BresciaoggiDi Bovezzo  Lumachi chiuderà il 2023 con un torneo a Basilea
Vent’anni Gabriele Lumachi con i suoi scacchi nella redazione di BresciaoggiDi Bovezzo Lumachi chiuderà il 2023 con un torneo a Basilea
Vent’anni Gabriele Lumachi con i suoi scacchi nella redazione di BresciaoggiDi Bovezzo  Lumachi chiuderà il 2023 con un torneo a Basilea
Vent’anni Gabriele Lumachi con i suoi scacchi nella redazione di BresciaoggiDi Bovezzo Lumachi chiuderà il 2023 con un torneo a Basilea

Non poteva che essere «Lumaking». Gabriele Lumachi, venuto al mondo il 13 febbraio 2003, originario di Bovezzo e nato per gli scacchi. Destino che già da anni ha cominciato a onorare concretamente. Unico concorrente bresciano del campionato ospitato da Brescia una settimana fa, l’anno scorso ha vinto il titolo di campione italiano Under 20 e nel 2019 era stato il numero uno fra gli Under 16. Tante cose in poco tempo: secondo nel circuito della Mitropa Cup, una partecipazione alle Olimpiadi Under 20 di Città del Messico, i piazzamenti fra i migliori 30 al mondo e fra i migliori 10 al Mondiale Rapid Under 20 di Pula in Sardegna. Maestro Fide, figlio d’arte ma non di questa: i suoi genitori sono musicisti. L’orchestra dei Pomeriggi Musicali può contare sull’apporto di suo padre Lorenzo (al fagotto), trasferitosi da Firenze per amore di Monica Vatrini (alla viola), sua madre.

Immerso nella musica, ha scelto di «play» qualcosa di diverso. Quanto diverso?
Gli scacchi hanno qualcosa in comune col mestiere dei miei genitori. Ambiti diversi, ma sia in un campo sia nell’altro è richiesto un impegno molto alto.

Poteva diventare musicista?
Mi sono sempre dedicato agli scacchi e non ho mai ricevuto pressioni né input di altro tipo. Sono stato lasciato libero.

A che età ha iniziato a giocare?
Avevo 8 anni. Devo dire grazie al computer: ho provato una volta e ho trovato il mio gioco.

Trovare coetanei coi quali giocare invece non dev’essere stato facile.
Difatti. E io sono figlio unico. È grazie a mio nonno che mi sono iscritto al circuito Torre e Cavallo a Sarezzo di Aristide Zorzi. Ho iniziato a gareggiare così. Allora era l’unico circolo del territorio bresciano, fortunatamente vicino a casa mia. Di recente ne sono sorti altri e ci sono più occasioni per tutti.

Quanto differenti da quelli di una volta, fumosi e affascinanti come locali notturni?
Adesso è un’altra storia, un ambiente sano come si addice a uno sport.

Ma gli scacchi cosa sono: un gioco, uno sport, cos’altro?
Uno sport, perché la componente agonistica è preponderante. Ma allo stesso tempo è bene ricordarsi che si tratta di un gioco. Lo dico perché se l’agonismo prevale su tutto si rischia di fare qualcosa di anti-scacchistico per il proprio interesse, badando solo a vincere, mentre a volte è meglio pensare a giocare bene: prendersi qualche rischio e se qualcosa va male si può sempre migliorare. Lo spirito sportivo prevede che tutti giochino per ottenere il massimo, ma è meglio tenere a mente la componente ludica per onorare fino in fondo gli scacchi.

Quando ha deciso che sarebbero diventati la sua vita?
Con gli scacchi ho un rapporto anche un po’ strano, varia molto in base al momento: ci sono stati periodi in cui ho fatto principalmente quello, con la volontà di arrivare a un certo livello, ma qualche volta ho accantonato gli scacchi per fare altro perché avevo altre priorità. Il punto di svolta è stato nel 2017: ero reduce dal Mondiale Under 20 a Tarvisio, dove l’Italia poteva schierare più partecipanti come paese ospitante, ed era andata molto male. Da quella delusione ho tratto lo stimolo, la scossa per fare le cose nel modo giusto. Prima non ero molto applicato, da quel momento ho fatto sul serio e non ho più smesso.

Quante ore al giorno passa sulla scacchiera?
Dedico 5, 6, anche 7 di media.

Ha trovato un equilibrio con la scuola?
Sì. Ora faccio coesistere gli impegni dell’università con gli scacchi in modo
chillato: non mi sento così affaticato. Dopo le scuole superiori all’Itis ho deciso di frequentare la facoltà di studi internazionali a Trento. Un corso molto vario, interessante.

Intervistato dall’università di Trento, oltre a dire di amare la pizza e il mare si è definito «ambizioso, disilluso, concentrato». Caratteristiche che porta anche negli scacchi?
Mi alzo poco dalla sedia a differenza di altri giocatori, di solito alla quarantesima mossa mi prendo una pausa, ma in generale resto concentrato per la maggior parte del tempo.

Per questo preferisce il gioco classico degli scacchi al Rapidplay?
Sì, la variante con un tempo limitato a disposizione è meno significativa: per capire le sfumature non bisogna avere fretta.  

Ha sfidato avversari di varie nazionalità: le differenze?
La cultura di un Paese influenza anche il modo di giocare. I tedeschi pragmatici, i cinesi disciplinati, gli indiani combattivi. L’italiano in generale è insidioso: conosce la teoria, fa mosse creative e imprevedibili.

L’Italia è un paese per scacchisti?
Eravamo indietro e saremo sempre in difficoltà rispetto alle nazioni che hanno più abitanti, ma il nostro movimento sta crescendo.

A chi si ispira?
Per lo spirito battagliero a Parham Maghsoodloo, 23enne iraniano nella top ten mondiale. Mi ha impressionato. Lui dice che i giocatori forti danno il 100 per cento per convertire un vantaggio, ma il 120 per cento quando devono difendere una posizione inferiore. Parham è uno dei miei eroi scacchistici. Come il campione mondiale Magnus Carlsen.

Quanto conta il talento e quanto l’applicazione?
Direi rispettivamente 20 e 80. Nel mio ambiente il talento è sopravvalutato: certo, quando vedi quattordicenni già Grandi Maestri capisci che la predisposizione importante. Ma il lavoro è fondamentale. Mai farsi scoraggiare, mai porsi limiti.

Come le piace giocare?
Prediligo le aperture di donna, con il bianco comincio quasi esclusivamente con d4. Ogni tanto faccio giocate «scorrette», poco ortodosse, per spiazzare l’avversario: è un’arma a doppio taglio, non sempre paga ma quest’anno col nero ho ottenuto così diverse patte.

Preparazione fisica?
Non specifica. Mi tengo allenato.

Sport preferito?
Il calcio. Sono tifoso della Lazio, ho cominciato quando c’era Rocchi e la squadra era un po’ scarsa, poi le cose sono andate meglio con Klose e con Immobile.

Prossimo torneo?
A fine mese in Svizzera, a Basilea.

Sogno nel cassetto di «Lumaking»?
Ho tanti obiettivi. Diventare Grande Maestro. Vincere gli Assoluti d’Italia. Partecipare alle prossime Olimpiadi. Ogni traguardo è collegato all’altro dallo stesso filo rosso: continuare sempre a divertirmi in questo sport che amo.

Se un bambino di 8 anni le chiedesse perché gioca?
Gli risponderei che giocando può migliorarsi anche come persona. Gli scacchi ti cambiano il carattere. Ti cambiano la vita.

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