L'intervista della domenica

Il fumettista Lorenzo Mattotti e l'incredibile racconto di vita tra «Storie, ritmi e movimenti»

di Gian Paolo Laffranchi
Il bresciano fumettista, illustratore, regista e sceneggiatore famoso in tutto il mondo. Restano ancora tre settimane per visitare la mostra allestita al Santa Giulia con le sue opere
Lorenzo Mattotti, foto da fb dell'artista
Lorenzo Mattotti, foto da fb dell'artista
Lorenzo Mattotti, foto da fb dell'artista
Lorenzo Mattotti, foto da fb dell'artista

«Storie, ritmi, movimenti» ancora per tre settimane. Ma non finisce mica qui: dopo aver segnato con la sua arte l’anno della Capitale della cultura, Lorenzo Mattotti lascerà tracce profonde anche nel 2024 bresciano. In vista della conclusione della mostra che gli è stata dedicata a cura di Fondazione Brescia Musei al Museo Santa Giulia, prevista il 28 gennaio, martedì 9 gennaio sono in agenda due appuntamenti al Nuovo Eden (ingresso gratuito con prenotazione): alle 11 una masterclass con gli studenti universitari, alle 21 l’incontro con il pubblico (in dialogo con la curatrice Melania Gazzotti e con il docente Enrico Fornaroli).

Iniziative che si inseriscono in «Focus Mattotti», che da inizio ottobre accompagna la sua esposizione: in rassegna 12 film (da lui diretti o ai quali ha collaborato, o inseriti nella sua personale «Carta bianca»), ma anche laboratori ed eventi speciali. Oggi 7 gennaio alle 16 in via Nino Bixio è il turno del suo lungometraggio «La famosa invasione degli orsi in Sicilia», basato sull’omonimo testo di Dino Buzzati. Mattotti non mancherà. Non solo: la Galleria dell’Incisione ospita fino all’11 febbraio la mostra «Orsi», che evidenzia il legame tra il romanzo e il film esponendo bozzetti preparatori di entrambi i lavori insieme a opere di altri artisti (da Griffa, Klinger e Matticchio a Müller, Munari e Valentinis). Domani alle 18 la Galleria stessa vedrà Mattotti dialogare con Lorenzo Viganò (entrata libera).

 

Musica, cinema, danza. Dinamismo dell’arte, disegno nell’anima: visitare la sua mostra fa venire voglia di disegnare, innanzitutto.

Spero trasmetta un’energia, un senso di positività. Mi sembra che la gente ne esca con aria soddisfatta, leggera. Sarebbe bello se un bambino, dopo averla visitata, decidesse di dedicarsi al disegno. Già solo il fatto di disegnare significa sperare in qualcosa.

 

Arte dai colori brillanti.

Ma anche nella ricchezza del bianco e nero: a volte disegnare aiuta a tirar fuori anche altre sensazioni, difficili da descrivere.

 

I progetti di questi ultimi mesi hanno significato anche una riscoperta di Brescia?

Assolutamente. Qui sono nato ma ho trascorso solo i primi 5 anni di vita: poi per il lavoro di mio padre, ufficiale della Guardia di Finanza, sono stato ad Ancona, a Parma, a Como, che coincide con il mio periodo rock da disegnatore, e a Udine. Ho deciso di trasferirmi a Parigi, dove ho scelto di vivere, dopo aver salutato il Friuli. Sono legato a Mantova, che per me è la casa dei nonni: ho trascorso almeno un mese tutte le estati a Castelbelforte. Adesso ringrazio Brescia Musei che ha voluto fortemente riportarmi qui con questa mostra curata da Melania Gazzotti. Ho riscoperto Brescia nell’anno Capitale, prima c’ero tornato giusto per qualche toccata e fuga grazie alla Galleria dell’Incisione. Ho avuto modo di camminare per le vie, trascorrere giornate in una città davvero splendida, ricca di storia a dispetto del luogo comune che la vorrebbe soprattutto industriale. L’ho detto anche a tanti miei amici: va visitata, merita di essere scoperta. Anche per questo sono molto legato a questa mostra. Al Museo, poi, ho riscontrato un’attitudine alla divulgazione, al rapporto con il pubblico.

 

Contento della tre-giorni bresciana che l’attende, fra proiezioni e incontri?

Molto. E sono felice che la mia «Carta bianca» il 26 gennaio si concluderà con «La pattuglia sperduta» di Piero Nelli: anche questo film è da riscoprire, col suo bianco e nero potente, una sorta di epica del Risorgimento, quasi neorealista.

 

Il Nastro Speciale d’Argento per «La famosa invasione degli orsi in Sicilia», ma anche i manifesti ufficiali del Festival di Cannes e della Mostra del Cinema di Venezia. Premi internazionali dagli esordi, libri tradotti in tutto il mondo, l’antologica di Roma e la copertine del New Yorker. Quanta strada ha fatto, per diventare Maestro, il ragazzo cresciuto leggendo Corriere dei Piccoli, Vittorioso e Topolino?

La mia paghetta se ne andava così... Una carriera nasce giorno per giorno, mattoncino dopo mattoncino. Lentamente ho costruito il mio percorso. Ogni esperienza è servita. E ho sempre la sensazione di dover ancora fare, imparare tanto.

 

Ha collaborato con Lou Reed per «The Raven», incontrato Michelangelo Antonioni, Steven Soderbergh e Wong Kar-wai: chi l’ha colpita di più?

Ogni incontro mi ha lasciato qualcosa. Soprattutto questi. Antonioni era già molto malato, ma quella giornata con lui mi è rimasta nel cuore. Così come ho nel cuore i miei amici fumettisti Altan e Muñoz. Colleghi che mi hanno aiutato a trovare lo slancio che serve nei momenti più duri. Tanti incontri sono stati anche delle sfide, come il film degli orsi: un’avventura lunga, faticosa, impegnativa. E una grande gioia.

 

Buona, anzi ottima, la prima da regista.

Ma ho scelto di non fare un altro film. Forse avessi avuto quarant’anni... Mai dire mai anche se quello è il mestiere di Miyazaki, non il mio.

 

Cosa cerca?

Qualcosa che mi stimoli. Ho letto tutto quello che ha fatto Fellini, un cineasta disegnatore, regista di visioni. Ma anche Truffaut, Wenders, Tarkovskij. Sono stato molto influenzato dal cinema. Ora vorrei esplorare sempre di più lo spazio fisico del teatro.

 

È appena tornato dalla tournée di «Hänsel und Gretel» con l’Opera di Digione.

Uno spettacolo con le mie immagini proiettate sullo schermo, si vede la mia mano mentre disegno dal vero con una colonna sonora di musica classica. Dopo 27 repliche francesi mi piacerebbe portarlo in Italia, e naturalmente a Brescia.

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