Riccardo Sinigallia

di Gian Paolo Laffranchi
Il cantautore nato a Roma il 4 marzo 1970 è figlio di una madre discografica e di un padre assicuratore-ristoratore
Il cantautore nato a Roma il 4 marzo 1970 è figlio di una madre discografica e di un padre assicuratore-ristoratore
Il cantautore nato a Roma il 4 marzo 1970 è figlio di una madre discografica e di un padre assicuratore-ristoratore
Il cantautore nato a Roma il 4 marzo 1970 è figlio di una madre discografica e di un padre assicuratore-ristoratore


Canzoni, cinema, collaborazioni. Un curriculum che spazia da Caterina Caselli («mi convinse a modificare l’approccio nell’utilizzo della voce») a Gabriele Salvatores (« da tempo amo dedicarmi alle colonne sonore»), dai successi con Niccolò Fabi, Max Gazzé, Frankie Hi-nrg e Tiromancino a una carriera solista piena di soddisfazioni, dai brani scritti per Mina & Celentano come per Motta fino all’avventura con i Deproducers che lo riporterà a Brescia il prossimo week-end: venerdì sera salirà sul palco del Dis_play, al Brixia Forum, per l’evento clou de «Il talento degli infermieri. Arte e scienza in evoluzione», con Telmo Piovani.

Deproducers, progetto dichiaratamente nato per musicare dal vivo conferenze scientifiche «rigorose ma accessibili», è un gioco di squadra che valorizza l’individualità portando a un pubblico ampio qualcosa di originale e alternativo: un po’ il simbolo della sua carriera?
Fare musica con altre persone è qualcosa che faccio da sempre. Quanto a Deproducers, devo dire che la sorpresa è innanzitutto mia, e nostra: noi che formiamo questo collettivo di musicisti e produttori pensavamo si trattasse di un’esperienza one shot, l’idea di partenza era «facciamo questa cosa e vediamo come butta».

Butta bene da 15 anni ormai. Da «Planetario (musica per conferenze spaziali)» alla colonna sonora per il documentario di Salvatores «Italy in a day» ne avete fatte di cose, passando e ripassando da Brescia peraltro.
Sì, e le date più emozionanti sono coincise proprio con i matinée con le scuole, che a Brescia mi hanno dato la possibilità di scoprire quanto è affascinante il Teatro Grande. Io ero molto pessimista, sinceramente: ricordare il me stesso liceale mi rendeva molto scettico. Questo progetto è veramente una sfida, lo portiamo avanti con gli scienziati e lo scambio è costante, i tempi che richiede una spiegazione didattica sono lunghi. Ma i ragazzi sono molto interessati alle parole di Telmo Pievani come di Stefano Mancuso e Fabio Peri. Apprezzano la musica, le vibrazioni che avvertiamo non lasciano dubbi. E il Grande è un esempio di vera bellezza in una città in cui torno sempre volentieri.

Brescia quest’anno è Capitale della Cultura insieme a Bergamo: in comune, la capacità di rialzarsi nonostante le ferite della pandemia.
Sono stati anni durissimi e ci accorgiamo adesso di cos’è stato quello shock, di quanto è stato fatto per poter ricominciare. Ora è giusto ripartire e l’evento a cui parteciperemo nel prossimo fine-settimana è un’occasione importante da cogliere in una città attiva che ha orecchie sensibili: io posso testimoniarlo. A Roma, dove sono nato, purtroppo non è così. Roma ha sempre qualcosa da esprimere, se parliamo di sottocultura, ma a livello di cultura diffusa, condivisa, non si fa molto. Uno spettacolo come il nostro richiede coraggio, è impegnativo per gli argomenti che tratta e per i costi che comporta. Abbinare musica e scienza in modo così semplice per noi è l’uovo di Colombo, ma le istituzioni... è più facile che chiamino un cantante del Festival di Sanremo.

Ha calcato in più occasioni il palco della Latteria Molloy, ma anche di Carmen Town e prim’ancora del Buddha, incrociando tante volte Alberto Belgesto nei panni sia di musicista sia di direttore artistico.
Sì. E mi sono sempre sentito a casa. Per la verità è tutto il Nord Italia ad aver dimostrato una ricettività superiore nei confronti della mia musica. A Brescia è più forte uno spirito indipendente, capace di intercettare linguaggi.

È fratello di Daniele Sinigallia, musicista e produttore con cui collabora fin dagli inizi, ed è legato sentimentalmente a Laura Arzilli, compagna di vita e sul palco: musica sinonimo di famiglia, per lei?
Mi risulta naturale così. Mi piace collaborare soltanto con chi conosco. Non mi interessa fare musica via Instagram o Whatsapp su indicazione di un discografico. È una modalità che istintivamente rifiuto.

Possono esserci eccezioni?
Certo. Se mi avesse chiamato Battiato, per dire, avrei risposto presente a prescindere.

Sono passati vent’anni dal primo disco solista: l’impressione è che nei suoi album abbia trasferito mentalità e sonorità affinate nell’attività da produttore. 
Analisi corretta, vedendo il mio percorso da fuori. Da dentro, credo sia avvenuto il contrario: ho sempre fatto la mia cosa, a 12 anni mi dilettavo con una piccola Casio e imparavo a suonare la chitarra, m'impratichivo con un quattro-piste, mescolavo sorgenti, scoprivo l'elettronica.

Folgorato da?
Donna Summer: mia madre, di mestiere discografica, mi portò a sentirla cantare nelle prove. Era il sound di Moroder. Quell'ascolto, una visione: è stata come una modifica al mio codice genetico. Da lì l'italo disco, genere contradditorio ma interessante sul piano dei suoni, la passione per i cantautori...

A cominciare da Enzo Carella?
Citiamo lui, sì; gli altri di riferimento sono quelli classici ed è inutile ripeterne i nomi. Negli anni '90 c'erano molti sintetizzatori nell'aria, quell'influenza e la lezione cantautorale s'incontravano in me. All'inizio i miei dischi non venivano capiti dalle case discografiche, ma nei primi anni '90 ero fra i pochi a poter essere autore e produttore, occupandomi delle diverse fasi della creazione di una canzone. Non sono un arrangiatore accademico, la mia ossessione è sempre stata unire musica e testo in un tratto unico.

Se fosse nato nel 2010, anziché nel 1970?
Oggi tutti o quasi cominciano a fare musica usando laptop: la situazione si è ribaltata e l'alternativa è usare strumenti acustici, quello che per me era un giocattolino di Casio oggi sarebbe un contrabbasso. Credo mi divertirei a studiare composizione.

Cosa le piace oggi?
Laszlo De Simone è molto interessante. La trap mi incuriosiva all'inizio, adesso purtroppo in Italia si definisce tale ciò che non lo è. Thasup però è indiscutibilmente bravo.

La band dei suoi sogni, di tutti i tempi?
Paul McCartney al basso: con dispiacere mi priverei di Laura, ma credo che Paul mi potrebbe aiutare molto dal punto di vista della scrittura... Alla batteria potrei scegliere Mitch Mitchell ma ci litigherei, ho amato tantissimo Stewart Copeland, ma dico Ringo Starr.

Sta riformando i Beatles.Mica male, no?
Per allargare il discorso, aggiungo Andy Summers dei Police alla chitarra e Rick Wright dei Pink Floyd alle tastiere.

Produzione di Riccardo Sinigallia.
Sarebbe un sogno..

 

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